Poetry

Shi

4/5
Vedere e ascoltare, il tempo e lo spazio. Prima del cinema, la vita: che si fa poesia nell'opera di Lee

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COREA DEL SUD 2010
Un'anziana donna, affetta dal morbo di Alzheimer, cerca di dare un altro senso alla sua esistenza rifugiandosi nella poesia. Le rime e i versi sembrano oramai essere una delle poche cose fondamentali nella sua vita, soprattutto dopo il drammatico avvenimento che ha segnato la sua esistenza: l'amato nipote affidato alle sue cure è coinvolto nell'aggressione di una compagna di scuola che, in seguito, si è suicidata.
SCHEDA FILM

Regia: Lee Chang-dong

Attori: Yoon Hee-Jeong - Mija, Lee Da-Wit - Wook, Kim Hira - Presidente, Ahn Nae-Sang - Padre di Kibum

Sceneggiatura: Lee Chang-dong

Fotografia: Kim Hyunseok

Montaggio: Kim Hyun

Scenografia: Jeom-Hui Sihn

Costumi: Lee Choongyeon

Altri titoli:

Si

Durata: 139

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)

Produzione: PINEHOUSE FILM, IN ASSOCIAZIONE CON DIAPHANA DISTRIBUTION, N.E.W, KTB CAPITAL, KT CAPITAL

Distribuzione: TUCKER FILM (2011)

Data uscita: 2011-04-01

TRAILER
NOTE
- PREMIO PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA E MENZIONE DELLA GIURIA ECUMENICA AL 63. FESTIVAL DI CANNES (2010).
CRITICA
"Il festival continua nella sua deludente medietà. Il valore di Lee Chang-Dong lo si conosceva dai tempi di 'Peppermint Candy' (2000) e 'Oasis' (2002): qui presenta 'Poetry', sulle fatiche quotidiane di una nonna, divisa da una parte tra un nipote poco di buono e un semiparalitico da accudire e col sogno, dall'altra, di diventare una poetessa frequentando corsi di scrittura e di lettura. (...) I temi del cinema di Lee ci sono tutti, dalla constatazione di abitare in un mondo distorto dove a certe persone sembra negato il diritto di vivere al controllo del sentimentalismo (le scene si fermano sempre un momento prima di scivolare nel melò o nella farsa, specie per le lezioni di poesia) fino all'ossessione per alcune immagini e situazioni (...). Ma rispetto ai suoi film precedenti, qui c'è meno forza, meno intensità, come se in filigrana si intravedessero le linee ripetitive di una qualche formuletta, nonostante la grande prova della protagonista, la non più giovanissima Yun Junghee." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 20 maggio 2010)

"Coreana, nota agli specialisti e a qualche spettatore italiano per l'impressionante 'Oasis' (premiato a Venezia 2002), capace di entrare nel discorso difficile dei confini tra normalità e handicap, realtà e fantasia, delicatezza e crudeltà, Lee Chang-dong esplora in 'Poetry' (...) i passaggi dalla bellezza al disastro per una madre che segue corsi di poesia alla casa della cultura di un villaggio e scopre un segreto del nipote che lo porta all'arresto. Nella vita istante per istante, nella contemplazione del fiume, nella scrittura di un poema illuminato da serenità ed equilibrio, irrompe l'istanza dell'incertezza. Passato non inosservato, ma difficilmente premiabile." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 20 maggio 2010)

"La poesia non è solo sentimento e consolazione. E' anche un metodo per guardare e capire. L'unico forse che possa aiutarla a venire a patti con l'inaccettabile. Il tutto raccontato pacatamente, per cerchi concentrici, lasciando il delitto sullo sfondo per dedicarsi al quotidiano, le serate poetiche, la Natura. E quell'anziano handicappato, a cui concedersi dividere un'esperienza quasi iniziatica (oltre che pratica...). Altre volte Lee Chang-dong ('Oasi', 'Secret Suashine') è stato più stringente. Ma Mija è un personaggio che resta dentro." (Fabio Ferzetti, 'Messaggero', 20 maggio 2010)

"Contro il patriarcato inossidabile sudcoreano 'Poesia', del veterano Lee Chang Dong. (...) Come metafora su un paese maschilista abbastanza da pretendere da lei perfino una scomoda performance erotica nella vasca da bagno con semiparalizzato da un ictus, prima del riequilibrio simbolico e giuridico della tragedia, non si può dire che non sia sufficientemente sadica." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 21 maggio 2010)

"A prima vista il titolo sulla poesia è allarmante e oscuro, il nome del premiatissimo regista sud-coreano Lee Chang-dong non è da cinepanettone. (...) Il film ha il coraggio molto orientale e introspettivo dei silenzi, delle pause, delle inquadrature fisse e dei panorami che da geografici si fanno interiori, come se lo stile riflettesse la coscienza della donna e c'è nelle figure e nelle parole la sana ricerca di un rapporto tra vita e morale. Non è un mélo, non fa piangere, anzi in un certo senso, mentre l'autore non evita maliziosi appunti di costume (si paga tutto, anche la morte) c'è quasi una terapia da lieto fine. Perché in fondo ragionare serve, la poesia forse è una cura verso un senso del quotidiano che diventa sempre più oppressivo per colpa degli uomini che distruggono metodicamente valori, sentimenti e cultura. La poesia non si mangia ma fa vivere: l'attualità nostrana del messaggio è sotto gli occhi di tutti. E fa piacere pensare che l'autore, premiato a Cannes e poi con l'Oscar asiatico, è stato al suo Paese un ministro della Cultura che si è battuto affinché il sapere non fosse schiavo dell'economia e soprattutto della politica." (Maurizio Porro , 'Corriere della Sera', 1 aprile 2011)

"Bello, triste, coreano questo mélo per platea femminile. Ogni donna si riconoscerà nell'isolamento psichico coatto dell'ultrasessantenne Mija. Che per sbarcare il lunario e mantenere il nipote ne fa di ogni. (...). Poesia: la poveretta vede il suo cappello finire nel fiume e scivolare con l'acqua. Carne: comunque bisogna trovare cinque milioni per una certa faccenda. La poesia salverà il mondo? (...)Doppiaggio da cani: troppo aulico." (Cinzia Romani, 'Il Giornale', 1 aprile 2011)

"Una platea cinefila ed esigente troverà ampio balsamo nella visione di 'Poetry', diretto e sceneggiato dal coreano Lee Chang-dong con un estremismo romantico da lasciare senza fiato. Raccontando il difficile itinerario mentale e societario della sessantaseienne provinciale Mija, stupefatta nell'apprendere l'odioso crimine (...) compiuto dal nipote convivente, il regista del pluripremiato 'Oasis' ha il fegato, infatti, di filmare attori e paesaggio con lo stesso metodo eloquente e apparentemente atono, ipnotico e concentrico. Se aggiungiamo - senza approfondire le altre numerose, minimalistiche sfumature - gli shock procurati dalle parallele vicende del suo lavoro da badante presso un povero vecchio handicappato, si capisce come il film pretenda un'attenzione, una dedizione e un'immedesimazione esasperate che potrebbero rendere ogni spettatore infinitamente triste o infinitamente confortato." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 1 aprile 2011)

"Lee Chang-dong poteva affrontare questa storia in tanti modi, compreso quello neorealista a lui caro e per certi versi consono a questo escamotage narrativo, invece decide di inquadrare questo spaccato della società di provincia coreana all'interno di una riflessione più alta. Da una parte una realtà squallida e inaccettabile, dura e cruda, che dice molto dei giovani nella Corea di oggi, dall'altra una condizione di vecchiaia che porta un allontanamento da quella stessa realtà, sfumandola attraverso la perdita della memoria. La poesia del titolo non è solo la cifra stilistica a cui il regista si attiene, ma è anche la bussola che permette alla protagonista di orientarsi nel buio del suo presente. Diceva il poeta russo Kataev che il senso della poesia è dare un nome alle cose. Ecco, immaginiamo allora quale necessità assume tutto ciò per una persona che sta perdendo pian piano il nome delle cose." (Dario Zonta, 'L'Unita', 1 aprile 2011)