Man on Wire

In bilico su una fune, a 450 metri d'altezza. L'impresa del '74 di Philippe Petit sulle Twin Towers nel doc di James Marsh, in L'Altro Cinema

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GRAN BRETAGNA 2008
New York, 1974. Il funambolo francese Philippe Petit affronta una difficile impresa: camminare per quasi un'ora su di un cavo steso, illegalemente, tra le due Torri Gemelle a oltre 400 metri d'altezza.
SCHEDA FILM

Regia: James Marsh

Attori: Philippe Petit - Se stesso, Jean-Louis Blondeau - Se stesso, Annie Allix - Se stessa, Jim Moore (II) - Se stesso, Mark Lewis - Se stesso, Jean-François Heckel - Se stesso, Barry Greenhouse - Se stesso, David Foreman (II) - Se stesso, Alan Welner - Se stesso

Soggetto: Philippe Petit - libro

Fotografia: Igor Martinovic

Musiche: J. Ralph, Michael Nyman

Montaggio: Jinx Godfrey

Scenografia: Sharon Lomofsky

Arredamento: Nikia Nelson

Costumi: Kathryn Nixon

Durata: 94

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO

Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)

Tratto da: libro "To Reach The Clouds" di Philippe Petit

Produzione: WALL TO WALL PRODUCTION, RED BOX FILMS, DISCOVERY FILMS, BBC, THE UK FILM COUNCIL

NOTE
- PRESENTATO AL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (III EDIZIONE, 2008) NELLA SEZIONE 'L'ALTRO CINEMA/EXTRA'.

- OSCAR 2009 COME MIGLIOR DOCUMENTARIO.
CRITICA
"'Man on Wire' di James Marsh è uno di quei documentari che assolvono in primis al compito più alto e solo apparentemente più semplice legato al genere: testimoniare. In questo caso, testimoniare e raccontare qualcosa che è avvenuto 35 anni fa e che ancora oggi lascia con il fiato sospeso e le lacrime in gola. (...) In 90 minuti da brivido, racconta come Petit abbia realizzato la sua impresa, i mesi passati assieme agli amici increduli a studiare il piano per entrare con gli strumenti nei grattacieli e a saggiare il vento dal 102esimo piano ancora in costruzione. Philippe non ha nemmeno un brivido di paura, solo una fame insaziabile di essere lì, sospeso tra terra e cielo, tra vita e morte. Quando finalmente lo vediamo mettere il primo piede sul cavo sospeso a quasi 500 metri dai marciapiedi di Manhattan l'emozione prende la gola. In basso, la gente piange, e non per la tensione ma per l'eccesso di meraviglia. Come se un angelo avesse regalato loro una capriola tra le nuvole. In quella mattina d'agosto del 1974, Philippe vola leggero con la sua asta e il sorriso sulle labbra per 45 minuti, otto volte avanti e indietro su una fune che da terra nemmeno si vede. I poliziotti giunti prontamente non riescono nemmeno a parlargli, le bocche spalancate dalla meraviglia. E Philippe, che si sente una specie di Arsenio Lupin della fantasia, gli sorride e li prende leggermente in giro. Lo sa che non possono certo catturarlo e metterlo in manette fino a che è lì a compiere il suo magnifico crimine, al contrario li costringe ad assistere inebetiti e a sorridere in estasi. Gli amici di Philippe si commuovono ancora oggi nel ricordare l'impresa e giunti al clou del racconto sono costretti a tacere, la voce rotta dai singhiozzi. Come una poesia che non si riesce a recitare per l'enormità dell'emozione che trasmette." (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 26 ottobre 2008)