Leonora Addio

3.5/5
Che cosa resta di Luigi Pirandello? Moltissimo. E Paolo Taviani ce lo ricorda con un film coraggioso e libero, in continuo dialogo con suggestioni storiche, letterarie e cinematografiche. In concorso alla 72° Berlinale

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FRANCIA 2021
La rocambolesca avventura delle ceneri di Pirandello e il movimentato viaggio dell'urna da Roma ad Agrigento, fino alla tribolata sepoltura avvenuta dopo quindici anni dalla morte. E a chiudere l'ultimo racconto di Pirandello scritto venti giorni prima di morire: "Il chiodo" dove il giovane Bastianeddu, strappato in Sicilia dalle braccia della madre e costretto a seguire il padre al di là dell'oceano, non riesce a sanare la ferita che lo spinge a un gesto insensato.
SCHEDA FILM

Regia: Paolo Taviani

Attori: Matteo Pittiruti, Dania Marino, Fabrizio Ferracane, Simone Ciampi, Claudio Bigagli, Roberto Steiner, Enrica Maria Modugno, Federico Tocci, Dora Becker, Martina Catalfamo, Nathalie Rapti Gomez, Roberto Herlitzka, Massimo Popolizio, Francis Pardeilhan

Soggetto: Paolo Taviani

Sceneggiatura: Paolo Taviani

Fotografia: Paolo Carnera, Simone Zampagni

Musiche: Nicola Piovani

Montaggio: Roberto Perpignani

Scenografia: Emita Frigato

Costumi: Lina Nerli Taviani

Suono: Maximilien Gobiet

Durata: 90

Colore: C

Genere: SURREALE DRAMMATICO

Tratto da: ispirato all'omonima novella di Luigi Pirandello

Produzione: DONATELLA PALERMO PER STEMAL ENTERTAINMENT, SERGE LALOU PER LES FILMS D'ICI CON RAI CINEMA

Distribuzione: 01 DISTRIBUTION (2022)

Data uscita: 2022-02-17

TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL SOSTEGNO DELLA REGIONE SICILIANA-ASSESSORATO TURISMO SPORT E SPETTACOLO, SICILIA FILM COMMISSIONIL E CON CONTRIBUTO MIC - DG CINEMA E AUDIOVISIVO.

- IL PRIMO FILM DIRETTO DA PAOLO TAVIANI SENZA IL FRATELLO VITTORIO.

- PREMIO FIPRESCI AL 72. FESTIVAL BERLINO (2022).
CRITICA
"(...) un film inaspettato, per certi versi «difficile», perché la riflessione e la messa in discussione del proprio cinema vuole fare i conti anche con l' idea della morte. O meglio ancora: col senso di quella mancanza che la morte porta irrimediabilmente con sé. Ecco allora che con uno stile insolitamente geometrico, ai limiti dell' estetizzante (che sceglie di stridere con il repertorio delle immagini iniziali neorealistiche), il film racconta con esibita libertà l' odissea delle ceneri di Pirandello, che impiegarono 15 anni a essere sepolte «nella rozza pietra» secondo le volontà dello scrittore. Una specie di riflessione per interposta metafora sulla difficoltà di «seppellire», di mettere sotto terra una persona e la sua memoria. E che si colora (letteralmente, dopo l' inizio in bianco e nero) di un' ulteriore riflessione sull' insensatezza delle azioni umani dando forma all' ultima novella di Pirandello, 'Il chiodo' , storia di un delitto senza spiegazione. Come appunto è senza spiegazione la morte."(Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 16 febbraio 2022)

"Complesso, visionario, metafisico e imprevedibile, Leonora Addio è, dopo Kaos del 1984 e Tu ridi del 1998, il terzo adattamento/omaggio a Pirandello di Taviani, ma è anche quello più compenetrato dal senso "pirandellesco" della vita che sfugge alla ragione per sostanziarsi di misteri buffi, tempi morti, personaggi teneri e folli." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 16 febbraio 2022)

"Il viaggio compiuto dai miseri resti (...) è raccontato in sintonia con l'ironia pirandelliana, ricco com'è di episodi curiosi e di situazioni impreviste. Per l' esattezza dei particolari, per il tagliente bianco e nero, che amalgama il presente della ricostruzione con inserti di cinema d'autore (Paisà, Estate violenta, Il bandito), il film si fa addirittura brillante metafora dell' epoca ('36 -'51) che corre tra la prima e la seconda sepoltura. Invero a colpire, a mo' di solida cornice, è tuttavia l' inevitabile riflessione sulla morte, sull'esile consistenza dell'eredità artistica, sulla futilità del successo, partecipata attraverso le parole di Pirandello, meravigliosamente scandite da Roberto Herlitzka, e illustrata dalla sequenza della veglia preaogonica in cui sembrano sedimentarsi reminiscenze bergmaniane e scespiriane.(...) Leonora Addio senza enfasi o tedio ci regala una lezione di vita come conviene alla saggezza consumata nel tempo. La straordinaria alchimia fraterna sembra non essere intaccata. Invece, a sorpresa, si coglie nelle immagini del film di Paolo Taviani un' intensità emotiva inusitata (...)" (Andrea Marini, 'Il Giorno', 16 febbraio 2022)

"La vicenda per Taviani si fa però pretesto per ripercorrere una storia italiana novecentesca (con uno sguardo al presente) attraverso i luoghi dell' immaginario, un terreno sul quale la leggenda delle ceneri rivela la trama di una società italiana tra la guerra e il dopo. Il treno che porta la cassa con l' urna e il suo accompagnatore da Roma alla Sicilia, è quasi un teatro di quella società fuori dal tempo, un paese analfabeta, impoverito, pieno di superstizioni, miseria, ignoranza e anche di una bellezza destinata a schiantarsi in quella futura ricostruzione. Il paese di De Gasperi e dell' America, del sud e del nord, della burocrazia e della poca limpidezza, dei calembour del dialetto e della comicità che si farà commedia nazionale. (...) Quasi che Taviani nella leggenda delle ceneri pirandelliane metta in gioco se stesso, i fili del passato, la sua fiducia nel cinema, nell'arte come spazio in cui confrontarsi col mondo. Interrogando al tempo stesso la figura dell' artista, e il suo stesso «mestiere», la creazione che permette tutto, pure il mistero di un delitto inspiegabile. Lo stesso mistero di quelle ceneri, e delle storie che ancora possono alimentare." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 16 febbraio 2022)

"Apparentemente frammentario, il racconto procede coerente sul filo di un immaginario che, mescolando materiali d'archivio e di fiction, stratifica al filtro del magnifico commento musicale di Piovani memoria storica e citazione cinematografica. Il tutto in puro stile Taviani, ovvero innestando il neorealismo di uno straniato registro brechtiano e rileggendo i classici in chiave di austera essenzialità. Basta vedere in che modo Paolo personalizza Il chiodo, conferendogli quella nota dostoevskiana, che abbiamo sempre pensato appartenere a lui piuttosto che a Vittorio." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 16 febbraio 2022)