LE TENTAZIONI DELLA LUNA

FENG YUE

HONG KONG 1996
Nel 1911 a Suzhou, non lontano da Shanghai, la potente famiglia Pang si sta lentamente consumando, incapace di adattarsi ai cambiamenti della società. Il giovane Zhongliang vorrebbe andare a studiare a Pechino ma ben presto capisce che a lui è stato riservato il destino di fare da servo alla sorella Xiuyi e a suo marito Zhengda. Trattato male, alla fine si ribella e scappa verso la capitale. Ma a Pechino Zhongliang non ci arriva. Alla stazione conosce Biggie, un vecchio gangster, che lo prende sotto la sua protezione, lo porta a Shanghai e ne fa un gigolò di successo che seduce anziane signore sposate per poi ricattarle. Intanto, morto il vecchio Pang, il potere passa alla figlia Ruyi ma, come donna, viene affiancata ad un parente povero, il giovane Duanwu. In seguito a questa nomina, Biggie convince Zhongliang a tornare a palazzo per sedurre Ruyi. Tra i due in effetti nasce una segreta attrazione, ma Ruyi prima seduce Duanwu e poi cede alla corte di Zhongliang. Deluso e distrutto, questi torna a Shanghai, dove Biggie convoca anche Ruyi e Duanwu per farli assistere al tragico atto finale, l'uccisione di Zhongliang. Ruy impazzisce e viene deposta. Il giovane povero Duanwu diventa capo e padrone. Per la famiglia Pang è la dissoluzione.
SCHEDA FILM

Regia: Chen Kaige

Attori: Leslie Cheung - Yu Zhongliang, Gong Li - Pang Ruyi, Kevin Lin - Pang Duanwu, He Caifei - Yu Xiuyi, Zhang Shi - Li Liangjiu, David Wu, Zhou Jle, Ge Xiangling, Lin Lianqun, Wang Ying, Ge Lin, Ren Lei, Zhou Yemang - Pang Zhengda, Xie Tian - Biggie

Soggetto: Wang Anyi, Chen Kaige

Sceneggiatura: Shu Kei

Fotografia: Christopher Doyle

Musiche: Zhao Jiping

Montaggio: Pei Xiaonan

Scenografia: Huang Qiagui

Costumi: William Chang

Altri titoli:

TEMPRESS MOON

Durata: 130

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Produzione: TONG CUNLIN, HSU FENG

Distribuzione: COLUMBIA TRISTAR FILM ITALIA, BIM (1998) - MEDUSA VIDEO

CRITICA
"Nella vicenda di un idealista diventato gigolò per delusioni familiari e sociali, che torna al paesello per sedurre e ricattare la ricca erede di una grande famiglia, si dovrebbe cogliere la corruzione borghese e la frustrazione di chi per nascita sarebbe borghese, ma per destino si è sentito un emarginato, fino a darsi alla delinquenza. Mentre, fra pipe d'oppio e amplessi, i ricchi consumano le loro esistenze inutili, fuori i poveri preparano grandi cambiamenti il meglio delle 'Tentazioni della luna' è la ricostruzione d'epoca di Shanghai, ma non si resta al cinema due ore e dieci solo per vedere dei tram e delle auto d'epoca 0 degli smoking bianchi, che agli inglesi stanno bene e ai cinesi no. Dopo la Palma d'oro vinta a Cannes nel 1993 Kaige deve avere creduto dl essere un grande autore. 'Le tentazioni della luna' lasciarono fredda Cannes nel 1996. A vederlo nel 1998, non c'è da stupirsi". (Maurizio Cabona, 'Il giornale', 25 aprile 1998)

"Sarà che Le tentazioni della luna ha sofferto in fase produttiva: sta di fatto che l'affresco storico e decadente, metaforico e melò di Kaige, pur affrontando i temi a lui cari, amore e morte sopra ogni altra cosa, procede a fasi alterne, mescolando il patinato con il suggestivo, l'eleganza con la sensualità, l'attrazione fatale con la morbosità. (…) L'enfasi, l'uso insistito di grandangoli e flou, qualche disequilibrio di sceneggiatura, una astenia narrativa screziano, tuttavia, le bellissime immagini fotografate da Chris Doyle. e le belle prove dei due interpreti principali". (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 11 maggio 1998)

"Proprio nelle scene di massa che contrappuntano la progressiva decadenza della grande famiglia che ritroviamo la grande, elegante maniera del regista di Addio mia concubina. Ma - che sia un problema di codici comportamentali difficili da comprendere o sia invece colpa della brusca modernizzazione che Kaige impone al proprio modo di girare e montare freneticamente - la sensualità promessa dal film è estetizzante e inerte, i riferimenti storici cadono nel vuoto, il dramma stinge nella convenzione: ci si può divertire, ci si può incuriosire, ma non ci si crede mai". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 25 aprile 1998)