Laurence Anyways

- Regia:
- Attori: - Laurence Alia, - Fred Bellair, - Julienne Alia, - Stéfanie Bellair, - Michel Lafortune, - Andrée Bellair, - Charlotte, - Albert, - Mamy Rose, - Baby Rose, - Dada Rose, - Tatie Rose, - Shookie Rose, - Giornalista
- Sceneggiatura: Xavier Dolan
- Fotografia: Yves Bélanger
- Musiche: Noia
- Montaggio: Xavier Dolan
- Scenografia: Anne Pritchard
- Costumi: Xavier Dolan, François Barbeau
- Durata: 159'
- Colore: C
- Genere: DRAMMATICO, ROMANTICO
- Specifiche tecniche: 35 MM (1: 1.33)
- Produzione: LYLA FILMS, MK2
- Distribuzione: MOVIES INSPIRED (2016)
- Data uscita 16 Giugno 2016
TRAILER
RECENSIONE
Arriva finalmente nelle sale italiane, con ben quattro anni di ritardo (ma meglio tardi che mai), Laurence Anyways, vale a dire il terzo lungometraggio di Xavier Dolan, enfant terrible della cinematografia internazionale e fresco vincitore del Grand Prix per il suo Juste la fin du monde a Cannes 2016.
Dopo aver messo prepotentemente a nudo la propria personalità già nel film d’esordio, quel J’ai tué ma mère realizzato a cavallo dei vent’anni, vibrante e imperfetto come può esserlo solo un’opera concepita tra gli eroici furori dell’adolescenza, con questa sua terza prova, Dolan rischia e raddoppia sostanza e ambizioni a partire dalla durata: quasi tre ore (exploit che sarà sfiorato dal successivo Mommy), giostrando tra quei funambolismi di stile che hanno contribuito a marcare profondamente il suo cinema.
La storia d’amore tra Laurence, professore di letteratura a Montréal e promettente romanziere, e l’esuberante Fred (Suzanne Clément, attrice-feticcio del regista e giustamente premiata in questo ruolo come migliore attrice al Certain Regard di Cannes 2012) è di quelle che lasciano il segno. Quando Laurence confessa a Fred la sua natura di donna nel corpo di un uomo, la ragazza rimane sconvolta ma, in barba ai pregiudizi (siamo alla fine degli anni ottanta), decide di rimanere accanto a Laurence e di aiutarlo nella sua nuova vita. Da quel momento la loro relazione si protrae per un decennio tra separazioni e riconciliazioni, lungo il sempre più accidentato percorso verso una felicità irraggiungibile.
Riducendo lo spazio d’azione dei propri personaggi all’interno di un formato 4:3 (uno tra i tanti espedienti per i quali Dolan, soprattutto in futuro, dimostrerà un tenace affetto), e isolando di volta in volta spaccati esistenziali, sogni, aspirazioni, disfunzioni sociali e familiari, desiderio d’integrazione e ricerca dell’identità personale, il regista canadese dirige con un senso della narrazione che non sembra dovere niente a nessuno se non a se stesso, talmente sicuro dei propri mezzi da riuscire a incastonare, nell’architettura d’insieme, una capacità fuori dal comune di ritrarre esistenze e ambienti e un approccio talvolta smaccatamente pop alla messa in scena (valga, su tutto, l’uso disinvolto delle musiche) che, qua e là, gioca pericolosamente sul filo del kitsch. Quello stesso, assurdo, magico equilibrio che ha permesso a Dolan di realizzare la sequenza finale, da brividi, entro la quale sentiamo pronunciare la battuta che dà il titolo al film e ne racchiude l’intimo significato: Laurence, anyways.
NOTE
CRITICA
"Se continua così diventerà un sottogenere. Il film su un uomo che diventa una donna, in senso più o meno letterale (raro l'opposto, torna in mente solo 'Transamerica'). Ma non generalizziamo. Il terzo lavoro di Xavier Dolan (...) svetta su tutti i trans-film usciti in Italia, dal consolatorio 'The Danish Girl' al cerebrale 'Una nuova amica'. Anche se nemmeno Dolan, che tratta il tema in chiave di 'amour fou' (e gioca sull'ambiguità sessuale fin dalla scelta dei nomi) prende il soggetto sul serio fino in fondo. (...) efficacissimo Melvil Poupaud (...) strepitosa Suzanne Clément (...) magnifica la lunga soggettiva iniziale che registra gli sguardi raccolti per strada da Laurence vestito da donna (...). Tra fughe e ritorni, flashback e consigli di famiglia, liti furibonde e impennate liriche (dalle scelte musicali all'alluvione domestica che accompagna la lettura delle poesie di Laurence, Dolan non ha certo paura del kitsch, anzi), il film scalpita e vola, inciampa e riparte. Trascinando tutti, personaggi e spettatori, in un vortice di scene madri (spesso memorabili) e di domande senza risposta che intrecciano due dimensioni opposte e non sempre in armonia. Quella sociale, a tratti un poco ovvia (...). E quella intima, carica di risonanze fino alla vertigine. Ma in fondo è in questo tentativo di accordare la sfera più personale con quella sociale che prende vita il cinema di Dolan. Sarà bello scoprirlo rivedendo a ritroso, quest'estate, tutti i suoi film." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 16 giugno 2016)
"Enfant prodige non lo e più. Il canadese Dolan ha 27 anni ed è un autore star, premiato a ogni festival, ex aequo a Cannes 2015 con Jean-Luc Godard ('Mommy'), pieno di talento, stile, risorse e un futuro che chissà. Ne aveva 23 quando ha diretto questo melò transgender, ma è definizione impropria, anche se pratica (era già il terzo lungometraggio). Impropria perché nel suo vitalistico mix di Almodóvar e Truffaut, Fassbinder e Cassavetes, allarga a un sentimento universale, della persona, della coppia, della società, la differenza sessuale, attingendo dramma dalla commedia e viceversa, con impeto narrativo in formato anni 50 (4/3), colpi pittorici e coerenza compositiva. (...) Estro & Verità." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 18 giugno 2016)
"Un vero e proprio film retrò: dichiarato già dal titolo. Vero, ma è solo una parte del tutto; perché questo rapporto romantico con vecchi maestri, in Dolan, vive in simbiosi con un contenuto e una forma del tutto libera dall'ingombro passato. Ed è questo che rende Laurence comunque un'opera interessante. E soprattutto un film non-francese. Sia nella lingua: la parlata québecoise - misto di vecchio e nuovo: di francese arcaico e di americano. Sia nel modo di rapportarsi alla storia del cinema. Dolan sembra conoscere il cinema francese intimamente. Ma quello che per molti cineasti transalpini è un ostacolo, un campo minato seminato di divieti, per Dolan è una festa, dove ritrovarsi con vecchi amici della Nouvelle vague, come fossero suoi contemporanei: Garrel, Godard. Questa grande libertà sembrava nei film precedenti essere al servizio dell'eccesso. Sia in 'J'ai tué ma mère' che ne gli 'Amori immaginari', il volume era talmente alto che non si riusciva a capire nulla se non l'affermazione: faccio quello che voglio. Qui la libertà di stile non è solo stile e non è solo libertà. È anche una disciplina e ha uno scopo. Dolan si inventa una forma di cinema da cui l'anormalità ritrovata guarda la normalità con occhio compassionevole." (Eugenio Renzi, 'Il Manifesto', 20 giugno 2016)