Labirinto di ferro

Iron Maze

GIAPPONE 1992
Sugita, un ricco imprenditore giapponese, sposato con Chris, una donna americana, arriva a Corinto, una cittadina della Pennsylvania vicino Pittsburgh, deciso a rilevare una fabbrica locale, da tempo chiusa, per costruire un parco divertimenti. Una notte l'uomo viene trovato in fin di vita, colpito ripetutamente alla testa, e dell'accaduto si autoaccusa Barry, un ex operaio della fabbrica, che sostiene di aver agito per legittima difesa. Il detective Ruhle, incaricato delle indagini, cerca di scoprire cosa si nasconde dietro l'aggressione.
SCHEDA FILM

Regia: Hiroaki Yoshida

Attori: Jeff Fahey - Barry Mikowski, Bridget Fonda - Chris Sugita, Hiroaki Murakami - Sugita, J.T. Walsh - Jack Ruhle, Gabriel Damon - Mickey, John Randolph - Sindaco Peluso, Peter Allas - Eddie, Carmen Filpi - Charlie, Francis John Thornton - Womack, Mark Lowenthal - Dr. Rathman, Goh Misawa - Tanazaki

Soggetto: Hiroaki Yoshida, Tim Metcalfe, Ryunosuke Akutagawa

Sceneggiatura: Tim Metcalfe

Fotografia: Morio Saegusa

Musiche: Stanley Myers

Montaggio: Bonnie Koehler

Scenografia: Toby Corbett

Costumi: Susie DeSanto

Effetti: Martin Bresin

Durata: 102

Colore: C

Genere: THRILLER DRAMMATICO

Tratto da: racconto "In a Grove" di Ryunosuke Akutagawa

Produzione: ILONA HERZBERG

Distribuzione: CDI - CDI HOME VIDEO, MFD HOME VIDEO, CLEMI VIDEO

NOTE
- REVISIONE MINISTERO DICEMBRE 1992.
CRITICA
"Il regista si chiama Hiroaki Yoshida, il coproduttore esecutivo è Oliver Stone, i protagonisti sono l'aitante Hiroaki Murakami, Bridget Fonda prima di 'Nome in codice: Nina' e Jeff Fahey prima di 'Il tagliaerbe' (il film è del 1991). Insomma, occhio alla scheda tecnico-artistica: perché 'Labirinto di ferro', che è finanziato con un budget misto di dollari e yen, mette proprio il dito nella piaga dei travagliati rapporti nippo-americani e qui risiede il suo piccolo motivo d'interesse. (?) Alleggerito da un finale conciliatorio, 'Labirinto di ferro' vorrebbe esprimere attraverso il triangolo amoroso il malessere americano di fronte all'inesorabile invasione economica jap. A tratti ci riesce con inquietante efficacia, ma sono frammenti in un film che resta sostanzialmente irrisolto." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 10 maggio 1993)

"Un thriller, tutto sommato. Che la regia del giapponese Hiroaki Yoshida, avvezzo a collaborare con Hollywood, ha condotto avanti spesso con buona mano, non solo con quel mosaico di ipotesi e di verità soggettive che tendono a bella posta a rendere oscura e complicata la vicenda, ma con dei climi tesi e affannati che, gravando quasi ad ogni passo sull'azione, vi suscitano abilmente tra le pieghe tutta la suspense necessaria. Con l'aggiunta di un elemento curioso, il disagio degli americani di fronte all'espansionismo industriale giapponese che, nonostante la co-produzione, emana da molte situazioni e da molti personaggi: in cifre suggerite soprattutto, in modo quasi simbolico, da quell'adulterio in cui un'americana finisce per dividersi tra un connazionale e un giapponese. Non è molto, ma è un sintomo: in cui, dal punto di vista sociologico risiede forse l'interesse maggiore del film." ('Il Tempo', 12 maggio 1993)

"La regia di Yoshida mira ad un'efficace, sporca stilizzazione delle immagini. Belle e inflessibili le sequenze girate all'interno della fonderia (tunnels di lamiere, anfratti ferrosi, deriva metallica e degrado urbano), l'incastro delle narrazioni a scatola cinese (anzi, giapponese) e il sottofondo 'politico' della storia (crisi dell'industria, odio-amore tra capitalismo d'oriente e d'occidente). Bridget Fonda è inquietante, Jeff Fahey ha occhi come fari abbaglianti." (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 13 maggio 1993)