Jimmy's Hall - Una storia d'amore e libertà
Jimmy's Hall

- Regia:
- Attori: - Jimmy Gralton, - Oonagh, - Padre Sheridan, - Padre Seamus, - Mossie, - Tommy, - Molly, - Dezzie, - Finn, - Marie, - Alice, - Ruairí, - Seán, - Tess, - O'Keefe, - Cian, - Higgins
- Soggetto: Donal O'Kelly - (opera teatrale)
- Sceneggiatura: Paul Laverty
- Fotografia: Robbie Ryan
- Musiche: George Fenton
- Montaggio: Jonathan Morris
- Scenografia: Fergus Clegg
- Costumi: Eimer Ni Mhaoldomhnaigh
- Durata: 109'
- Colore: C
- Genere: DRAMMATICO
- Specifiche tecniche: (1:1.85)
- Tratto da: ispirato alla omonima pièce teatrale di Donal O'Kelly
- Produzione: SIXTEEN JIMMY LIMITED, WHY NOT PRODUCTIONS, WILD BUNCH, ELEMENT PICTURES, CHANNEL FOUR TELEVISION CORPORATION, FRANCE 2 CINÉMA, THE BRITISH FILM INSTITUTE AND BORD SCANNÁN NA HÉIREANN/THE IRISH FILM BOARD
- Distribuzione: BIM
- Data uscita 18 Dicembre 2014
TRAILER
RECENSIONE
Viene difficile credere che questo sarà il suo ultimo (o penultimo ?) film, che girare gli costa ormai una gran fatica. Pure se parliamo di un uomo di 77 anni. Viene difficile credergli perché Ken Loach appartiene a quella meravigliosa generazione di cineasti (come Woody Allen, De Oliveira, etc…) che invecchiando migliorano. Un po’ come il whisky che aveva tenuto banco nel suo precedente lavoro (La parte degli angeli).
Il regista britannico fa sembrare il cinema la cosa più semplice del mondo: nel suo realismo secco e immediato, non c’è quasi mai una scena di troppo, un movimento di macchina inopportuno, una battuta sbagliata, un personaggio fuori luogo. La storia che racconta e gli eroi che ci propina sono da decenni gli stessi, ma sempre trovando una chiave inusuale, ogni volta toccando le corde giuste: la fabbrica, la guerra, il calcio, l’alcol, l’amore e, ora, il ballo.
Sostenuto come al solito dall’ottima sceneggiatura di Paul Laverty, Ken Loach riceve a Cannes l’ennesima ovazione con Jimmy’s Hall, un altro impeccabile ed energico ritaglio dalla storia fuori dai libri di storia: la ribalta la merita stavolta James Gralton (Barry Ward), l’unico uomo irlandese ad essere stato espulso dal proprio paese. Siamo negli anni ’20 e Gralton è un giovane e carismatico attivista politico, costretto una prima volta ad emigrare dall’Irlanda negli Stati Uniti. Tornato in patria dieci anni dopo e forte dell’esperienza col jazz vissuta in terra americana, Gralton decide di ripetere il felice esperimento del Music Hall, una sala da ballo e un luogo di ritrovo in cui poter studiare (varie discipline: dalla letteratura alla boxe, passando dal disegno), confrontarsi ed emanciparsi da un destino di sottomissione e di ignoranza. Il progetto trova entusiastica adesione da parte degli uomini e delle donne del villaggio, ma anche la forte ostilità delle istituzioni locali, in primis dei rappresentanti della Chiesa, timorosi di perdere il proprio potere d’influenza (anche se al suo interno le posizioni sono più sfumate di quanto non sembri).Il conflitto non tarderà ad esplodere, riproponendo una delle classiche contrapposizioni del cinema di Loach, comunismo vs. religione, che sta ovviamente per libertà vs. autorità. E torna anche la questione irlandese, con buona pace dei suoi connazionali (gli inglesi non gliel’hanno mai perdonata).
Con il consueto movimento narrativo a fisarmonica (dal focus principale ad altri temi sotterranei, e ritorno), il registro ora drammatico e ora ironico (mai sbilanciato in un senso o nell’altro), la capacità di perorare la propria causa passando sempre dal vissuto umano, Loach parla netto e parla chiaro, e ne ha per tutti.
Parla soprattutto agli spettatori del presente ricordando loro che la vita non è in delega a politici, banche o venditori di pentole, ma è affar nostro ed è ora di andarcela a riprendere: Shall We Dance?
NOTE
CRITICA
"(...) anche se si parla di libertà e di ribellione il film appare invece piuttosto convenzionale, privo della sgangheratezza di una proletaria di verità. Tutto procede come la scrittura - prevede: scontri, entusiasmi, tradimenti, «citazioni» fordiane e un eccesso di sentimentalismo tra vite mancate come gli amori, e occasioni perdute si intrecciano senza nessuno spazio vuoto, nessun margine possibile di ruvida conflittualità. Loach ha già raccontato la storia politica dell'Irlanda e la sua guerra contro l'Impero britannico (con cui Loach ha vinto la Palma d'oro), dove però la dissacrazione dell'inglese, lui stesso, tirava fuori la rabbia e l'ambiguità della Storia. 'Jimmy's Hall' si svolge invece in una sorta di «schema» del film impegnato in cui tutti i personaggi - e gli attori sono molto bravi, peccato che il pubblico italiano li vedrà per lo più doppiati perdendo così, come sempre nel nostro mercato, una buona metà del film - sono rigidamente inquadrati nel loro ruolo, e persino lui, il rivoluzionario Gralton, bello e irruento, non sembra avere dalla regia le armi per sfuggire, almeno un poco, a sé stesso. Il film, applauditissimo sulla Croisette, si fa trascinare dalla musica gaelica, si immerge nei paesaggi verde smeraldo, inanella lane grosse e caschetti anni Trenta, ammicca alla narrazione emotiva e però non sembra trovare un contrappunto, un controcampo, qualcosa in cui lo spettatore non venga sempre assecondato e soddisfatto nella sua indignazione (...) la figura di Gralton meritava comunque di essere raccontata, Loach ne fa l'eroe di una ballata malinconica, un po' amara ma con tenerezza." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 17 dicembre 2014)
"Torna irlandese Ken Loach con un bel western sociale (...). Pur finendo con un'altra partenza, trattasi di un allegro inno alla voglia di vivere e di partecipare, un realismo verde magico alla Ford che trova in Barry Ward il suo uomo tranquillo in un sintonizzato e manicheo coro diviso tra bravi e cattivi." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 18 dicembre 2014)
"Piacerà a chi, come noi ritiene che Loach, nonostante sia rimasto abbarbicato a idee più vecchie di lui (è molto vicino agli 80), come regista abbia conservato il fiato e la vivacità di un director quarantenne." (Giorgio Carbone, 'Libero', 18 dicembre 2014)
"Quello di Loach è un cinema politico caratterizzato da una forte divisione tra «buoni e cattivi» e questa sceneggiatura è fatta su misura per schematizzare il confronto. Allegra la colonna sonora e bravo il carismatico Barry Ward." (A.S., 'Il Giornale', 18 dicembre 2014)
"Lotta per l'arte, lotta di libertà. Vicenda storica che sembra inventata per Loach&Laverty (lo sceneggiatore), cinema brechtiano, progressista, marxista salariale, pubblico-privato, non manicheo né schierato, in una parola sincero. (...) Divisione esemplare delle parti: iniziativa, repressione, rivolta, parziale rivincita per ritrovare un'ipotesi di democrazia." (Silvio Danese, 'Nazione - Carlino - Giorno', 19 dicembre 2014)