I corpi estranei

2/5
Il naturalismo dei Dardenne non basta: da rivedere, in Concorso, l'incontro tra due sconosciuti nel dolore firmato da Locatelli

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ITALIA 2013
Antonio e Pietro, padre e figlio, sono soli a Milano. Il piccolo Pietro è affetto da una rarissima malattia: insieme al papà ha dovuto lasciare il sud per cercare un barlume di speranza nel capoluogo lombardo. Jaber ha 15 anni, ed è giunto da poco in Italia dal Nord Africa per sfuggire ai tumulti che hanno accompagnato le primavere arabe. Il ragazzo deve assistere l'amico Youssef, anche lui, come Pietro, costretto in ospedale. È proprio qui che Antonio e Jaber, anime sole e tormentate, "corpi estranei" in una città lontana, si incontrano...
SCHEDA FILM

Regia: Mirko Locatelli

Attori: Filippo Timi - Antonio, Jaouher Brahim - Jaber, Gabriel De Glaudi - Pietro, Tijey De Glaudi - Pietro, Dragos Toma - Eugeniu, Naim Chalbi - Rachid, El Farouk Abd Alla - Youssef

Sceneggiatura: Mirko Locatelli, Giuditta Tarantelli

Fotografia: Ugo Carlevaro

Musiche: Baustelle

Montaggio: Fabio Bobbio, Mirko Locatelli

Suono: Paolo Benvenuti (II) - presa diretta, Simone Olivero - presa diretta, Daniele Sosio - presa diretta

Altri titoli:

Foreign Bodies

Durata: 98

Colore: C

Genere: DRAMMATICO

Specifiche tecniche: DCP

Produzione: FABIO CAVENAGHI, PAOLO CAVENAGHI, MIRKO LOCATELLI, GIUDITTA TARANTELLI PER STRANI FILM, IN ASSOCIAZIONE CON OFFICINA FILM, DENEB, IN COLLABORAZIONE CON SAE INSTITUTE MILANO

Distribuzione: STRANI FILM IN COLLABORAZIONE CON MARIPOSA CINEMATOGRAFICA

Data uscita: 2014-04-03

TRAILER
NOTE
- REALIZZATO CON IL SUPPORTO DI FONDAZIONE MAGICA CLEME.

- IN CONCORSO ALLA VIII EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (2013).
CRITICA
"In quasi unità di luogo, tempo e azione, sicuramente con un unico baricentro che è il dolore nascosto di un uomo, il giovane Mirko Locatelli torna nel profondo Nord dopo il notevole 'Primo giorno d'inverno', sempre con un modo asciutto, documentario, impietoso di guardare la realtà. Qui ci racconta quasi senza parole, in una sorta di ovattato ospedale con il grigio lombardo dipinto fuori, il dramma di un padre, solo col suo bimbo di pochi mesi molto malato. Tutto gli è corpo estraneo, compresa la malattia, eccetto il figlioletto che accudisce con ansia animale: sono estranei tutti coloro che incontra, specie un ragazzo arabo che sta curando un amico. (...) Soggetto triste, non nuovo sui nostri schermi dove abbiamo visto il bellissimo 'La guerra è dichiarata' e presto 'Alabama Monroe', eppure il film di Locatelli è propositivo, non angoscia, mostra la metamorfosi del personaggio, interpretato da Filippo Timi, attore straordinario che qui raggiunge risultati impensabili perché gioca anche contro la sua natura estroversa e deve levare ogni emozione esteriore restituendola però con segno più profondo e tecnicamente dolce. La sua interpretazione, insieme ai ragazzi arabi bersaglio di quel razzismo casual quotidiano che sembra un peccato veniale, è la ragione stessa del film che evita la retorica della malattia e della redenzione pur analizzando come in provetta la nascita della consapevolezza che sfocia alla fine in un certo sorriso. Anche il film stesso prima di vederlo è un corpo estraneo che ci diventa consanguineo specie se raccontato da Locatelli con lo stile di un'istantanea del dolore ma anche della tenerezza e della dolcezza del padre." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 3 aprile 2014)

"È un film di poche parole 'I corpi estranei' di Mirko Locatelli; però è un film molto eloquente. Grazie all'interpretazione di Filippo Timi, che lo regge quasi per intero sulle proprie spalle, e alla grande; e grazie a una regia calcolatissima e insieme fluida: semi-soggettive, carrelli a precedere e a seguire, fotografia che percorre gli ambienti in lunghi piani-sequenza, come nel cinema dei fratelli Dardenne. Un film che non cerca di compiacere lo spettatore, certo; non cerebrale, però: anzi, emotivamente intenso nel suo linguaggio severo ma 'necessario'." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 3 aprile 2014)

"Due personaggi fatti per non capirsi in un ospedale oncologico di Milano. Antonio (un superlativo Timi) è lì per i figlio, un neonato con un tumore al cervello. E' una persona semplice, usa il dialetto, non ha grandi mezzi materiali o culturali, solo la sua forza, il dolore che soffoca, una moglie e due figli lontani. Il tunisino Jaber invece (Brahim) è in ospedale con alcuni compatrioti per assistere un ragazzo malato. (...) Barricato nella sua durezza, 'I corpi estranei' schiva ogni possibile trucco di sceneggiatura ma chiede molto allo spettatore. Finendo per poggiare quasi tutto sulle spalle di Timi. E di quella situazione limite." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 3 aprile 2014)

"'I corpi estranei' il nuovo film di Mirko Locatelli - scoperto con il molto bello 'Il primo giorno di inverno', passato qualche anno a Venezia Orizzonti - che mi aveva sorpresa e conquistata, già alla prima visione in concorso al Festival di Roma, può persino spaventare. E invece no: è vero, è un film che ci avvicina alla malattia, pur spostando l'accento su cosa significa questa dimensione per chi sta accanto al malato, i cosiddetti «sani». Ma soprattutto è un film che senza retorica sa raccontarci il sentimento della fragilità. Non il dolore - «rischiava di diventare patetico» aveva detto Locatelli al festival - ma appunto questa fragilità contemporanea diffusa: privata, collettiva, dei nostri tempi, del nostro mondo. E lo fa sperimentando una forma cinematografica lucida, tesa, commuovente, segno di quel cinema italiano «inclassificabile» che nasce fuori dal sistema e forse è per questo il più vitale. La malattia nella scrittura del regista - che firma la sceneggiatura insieme a Giuditta Tarantelli - diviene lo sfondo di una trama su cui si intrecciano i fili del presente, e man mano che il rituale del quotidiano va avanti, coi suoi gesti di speranze e bestemmie, paura e preghiera, voti e amuleti ripetuti all'infinito, si rafforza la sua dimensione di «pretesto» narrativo, un punto di partenza per condurci a qualcos'altro. Pure se ci troviamo in un ospedale, con le pareti spudoratamente colorate di pupazzi, e lo skyline della Milano dei grattacieli. Chi sono allora i «corpi estranei» a cui fa riferimento il titolo? Non quello sparuto gruppo di parenti che si aggirano inadeguati tra i corridoi e i colloqui coi medici in sintonia col codice dominante. Sono tutti padri, o quasi, a parte le donne al capezzale del ragazzo tunisino che intravediamo appena. L'universo del film (dedicato da Locatelli a suo padre) è infatti un universo narrativo di uomini che appaiono ancora più «fuori luogo», rappresentati nel rapporto diretto, intimo, di cura dei figli, che nell'immaginario non gli appartiene. Dove Antonio - a cui da vita Filippo Timi con molta intensità - distrutto nel cuore a dispetto del corpo spaccone, ci appare come la punta estrema di questo maschile goffo, e inadeguato nell'essere al mondo. E' una questione di archetipi, di ruoli, come quando ti dicono da piccolino che sei un ometto e non devi piangere. Il maschile ancorato alla sua virile sicurezza, somiglia al pensiero che si attacca a certezze assolute, integralismi di fede, di «razza», di cittadinanza, di famiglia e di sessualità rifiutando il confronto con quanto può metterli in crisi. E trasforma il disagio della certezza in un pregiudizio, dove nascondere il bisogno disperato, e molto indistinto, di qualcos'altro. Leccateli lo cerca sul bordo del riflesso, forse ancora padre e figlio, che mette davanti a Antonio il ragazzo tunisino Water (Jaouher Ibrahim), il «corpo estraneo». Un pedinamento costruito in modo quasi geometrico, senza concessioni, che è quasi una sfida ma non per vincere. Cosa è che interroga al punto da spaventare così tanto Antonio la presenza di quel ragazzino gentile? Forse, appunto, le certezze sedimentate nel luogo comune, razzismo in testa, forse i modelli di comportamento del Padre, dei quali riesce a intuire la segreta «fragilità». Esprimendo qualcosa che obbliga a riposizionare lo sguardo, il proprio essere, le proprie convinzioni. Una lezione di «fragilità» che è la sua grande forza." (Cristina Piccinno, 'Il Manifesto', 3 aprile 2014)

"Umbro, operaio e 'zoticone', Antonio (Filippo Timi) arriva a Milano con il figlio Pietro: malato di cancro, il bambino dovrà sottoporsi a un delicato intervento. All'ospedale, l'incontro-scontro tra Antonio e Jaber (Jaouher Brahim, esordiente), un 15enne maghrebino che assiste un amico: due corpi estranei possono toccarsi, capirsi? Se lo chiede Mirko Locatelli, che torna alla finzione cinque anni dopo 'Il primo giorno d'inverno': 'I corpi estranei' è un viaggio al termine della notte, non con Celine, ma con la malattia, le forzate veglie in una città che Jaber conosce e Antonio no e l'incomunicabilità per infelice compagno di viaggio. II regista predica che 'di fronte al dolore siamo tutti uguali', studia il tallonamento empatico dei Dardenne, ma cade in una serie di plateali incongruenze nella lungodegenza. Apprezzabili le intenzioni, ma il discorso a tesi non è mai un corpo estraneo. Purtroppo." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 3 aprile 2014)

"Nobile e tartarughesco dramma, che affastella malattia, razzismo e lavoro nero. (...) La regia segue il malrasato Filippo Timi alla mensa, in bagno e in macchina, dove sale per ascoltare soltanto le notizie sul traffico, anche se non deve muoversi. Domanda: che bisogno c'era di quei quattro bestemmioni?" (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 3 aprile 2014)

"Un uomo e un bambino. La forza dell'adulto e la fragilità del piccolo, o forse il contrario. 'I corpi estranei' di Mirko Locatelli è una storia di ricerca e scoperta sulle tracce di un padre (Filippo Timi) arrivato a Milano con il suo piccolo, malato di cancro al cervello e in attesa di un delicato intervento chirurgico. In cerca di conforto, l'uomo, come un guerriero in territorio nemico, si muove inquieto per la città e per l'ospedale, tenta di recitare preghiere che non ricorda più (e nella sua disperata impotenza gli scappa una bestemmia), attratto da un piccolo gruppo di arabi che gravitano intorno al giovane Youssef, anche lui ricoverato nel reparto di oncologia pediatrica. Sarà proprio la malattia l'occasione di incontro tra persone così diverse, anime sole e impaurite chiamate a fronteggiare un grande dolore." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 4 aprile 2014)

"La malattia diventa (...) occasione d'incontro tra due anime solitarie e impaurite, tra due 'corpi estranei' alle prese con il dolore e la speranza. Film intimo che si avvale della toccante interpretazione di Filippo Timi, affiancato da Jaouher Brahim, giovane tunisino esordiente. «Come raccontare la malattia di un bimbo e il dolore di un padre? Con quali immagini? Sono le prime domande che ci siamo posti io e Giuditta Tarantelli, mia moglie e cosceneggiatrice», dice Mirko Locatelli, 40 anni, bravo regista malgrado un incidente stradale lo costringa in carrozzella. «Abbiamo scelto di partire da due parole chiave: dignità e pudore. La dignità dei protagonisti e il pudore di noi che osserviamo»." (Maurizio Turrioni, 'Famiglia Cristiana', 6 aprile 2014)