I clowns

FRANCIA 1970
Il ricordo infantile della sua prima "scoperta" del circo e quello di grotteschi personaggi della sua Rimini - una monaca nana, che si alternava fra il manicomio e il convento; uno schizofrenico, impegnato a simulare la guerra; i rissosi vetturini che sostavano davanti alla stazione; il tronfio e impettito capostazione, beffeggiato dagli studenti, tutte figure clownesche - spingono Fellini a intraprendere un viaggio alla ricerca dei vecchi clown o della memoria che resta di loro. Dopo una visita al circo di Liana Orfei, e una rapida occhiata ai suoi pagliacci, il regista e la sua troupe si spingono a Parigi, capitale dell'arte clownesea, dove intervistano il suo massimo esperto, Remy, e rintracciano alcuni dei grandi clown superstiti, da Alex a Bario, da Pere Loriot a Ludo, da Mais all'ultimo dei Fratellini. A conclusione della sua ricerca, Fellini allestisce un allegorico funerale del clown sulla pista del circo.
SCHEDA FILM

Regia: Federico Fellini

Attori: Fratelli Martana, I 4 Fratelli Colombaioni, Louis Maiss, Charlie Revel, Ludo, Miguel Nino, Leopoldo Valentini, Alfredo Pistoni, Alberto Sorrentino, Giuseppe Ianigro - Il Clowns, Lina Alberti, Gasparino - La Troupe, Luigi Zerbinati, Gustav Fratellini, Franco Migliorini, Fanfulla , Pierre Étaix, Anita Ekberg, Riccardo Billi, Ettore Bevilacqua, Alex Bario - Clawn Francese, Baptiste, Giacomo Furia, Galliano Sbarra, Alvaro Vitali, Nino Vingelli, Valdemaro, Tino Scotti, Maya Morin, Carlo Rizzo, Tristan Remy, Gigi Reder, Rinaldo Orfei, Nando Orfei, Liana Orfei, Annie Fratellini, Pere Loriot

Soggetto: Federico Fellini, Bernardino Zapponi

Sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi

Fotografia: Dario Di Palma

Musiche: Nino Rota, Carlo Savina

Montaggio: Ruggero Mastroianni

Scenografia: Renzo Gronchi

Effetti: Adriano Pischiutta

Durata: 93

Colore: C

Genere: FANTASY

Specifiche tecniche: TECHNICOLOR

Produzione: RAI TV LEONE (ROMA) ORTF (PARIGI) BAVARIA (MONACO)

Distribuzione: ITALNOLEGGIO

NOTE
DAVID DI DONATELLO 1971 PREMIO SPECIALE RAI TV LEONE.
CRITICA
Il mondo va smarrendo del tutto il senso della gioia. La morte del clown. Chi non è pronto a riconoscere, in essa, la morte del «poeta» (anzi, della «poesia») già vigorosamente descritta
da Fellini nelle ultime sequenze del suo Satyricon? Occorre dunque registrare perlomeno il più profondo significato del clown come simbolo dell'uomo: del clown bianco (questo è certamente un leit-motiv non nuovo in Fellini) come emblema della pura letizia umana; del clown morto come funerale
della gioia o forse dell'uomo stesso; delle trombe suonate da angelici clowns in vesti d'argento, come
speranza di un recupero o infine magari di una risurrezione. Il filone simbolico conferisce al reportage felliniano una costante bipolarità di lettura: e si tratta di una alternativa a senso «religioso», anche se - tenuto conto di un Fellini che vuole sempre apparire meno cattolico di quanto invece sia - non
vogliamo scoprire nel simbolo qualcosa di più che un semplice invito «temporale» alla gioia e alla bellezza pura; qualcosa che Fellini a nostro parere aveva già avanzato nel Satyricon. Resterebbe insomma pur sempre adombrato quell'«invito alla Grazia» che da molto tempo sembra ossessionare la cinematografia felliniana. (Marco Bongioanni, "Rivista del Cinematografo").
I clowns, dentro i loro pantaloni larghissimi, la risata esplosiva e gli occhi pieni di dolore, sono creature della disapprovazione: la loro contestazione è pacifica e antica. Rapsodi fin troppo «rappresentati» da
una lunga letteratura anche figurativa e cinematografica - Fellini ne è del tutto consapevole -, ora hanno cercato, e trovato, una castigatezza nuova. Esorcista un riluttante eppure inimitabile personaggio «nuovo» della TV, i pagliacci sono tornati ad essere emblemi casti e severi, che ci
richiamano ai tendoni e alla fantasia dell'infanzia ma che ci possono mettere anche una motivata paura. (Sergio Surchi, 1970).
Fellini si è indubbiamente posto il problema del mezzo televisivo in quanto tale e l'ha affrontato con la sua consueta intelligenza visiva: si veda, per esempio, lo spazio figurativo assai più contenuto, assai meno dilatato, al quale si è costretto, nonché l'uso maliziosamente rovesciato e caricaturale di una tecnica televisiva come quella dell'intervista, attraverso il quale l'inchiesta si trasforma in spettacolo e racconto. Seconda osservazione: alle prese con un tema tipicamente «felliniano» come quello dei clowns, Fellini non si è in alcun modo sottratto alla tentazione e al rischio di rifare se stesso. In questo
senso |I clowns| è ancora una volta un'opera autobiografica in senso viscerale; ancora una volta Fellini non va alla ricerca degli altri o dell'altro, ma solo di se stesso; e ancora una volta non lo fa per capirsi, ma per esibirsi. Terza e ultima osservazione: il film mi è parso del tutto inserito - pur con i suoi
indubbi meriti, fra cui soprattutto lo splendido quarto d'ora iniziale - nella fase involutiva dell'arte di Fellini iniziatasi dopo Otto e mezzo. Mi è parso ciò, in altre parole, assai più prestigioso che inventivo, e più «poeticistico» che poetico. Ma su aggettivi come questi, si sa (e sulle sfumature alle quali vogliamo alludere) si potrebbe discutere all'infinito. (Giovanni Raboni, "Cineforum").
Anche per le sue circostanze produttive, una commissione per la RAI TV, si parla di |I clowns| come di un film minore. Per impegno, forse, ma non per i risultati. All'origine della sua riuscita c'è, a nostro avviso, la felicità - che è anche facilità - con cui s'intersecano e si compenetrano i vari piani del film: il circo come mito dell'infanzia, l'inchiesta sul circo, la reinvenzione del circo. Vogliamo chiamarli i momenti della memoria, della razionalità e della magia? Nonostante le apparenze, |I clowns| è un film tutto calcolato, meditato, costruito in cui Fellini dosa sapientemente malinconia e ironia, pathos e scetticismo, il taglio dell'inchiesta con l'abbandono alla memoria, la realtà con la finzione, la partecipazione sentimentale e il distacco lucido dell'osservatore finché, nel «numero» conclusivo dei funerali del clown, in un calcolato disordine e con un travolgente ritmo di balletto, ritrova la luce fastosa, festosa e funerea di La dolce vita e ripete il carosello finale di 8 ½. L'ossessione della morte - ma qui in chiave beffarda, quasi da esorcismo - e l'attaccamento alla vita, una tipica antinomia felliniana. (Morando Morandini, in "Storia del cinema", a cura di Adelio Ferrero, Marsilio 1978).