Ho voglia di te

ITALIA 2007
Step torna a Roma dopo aver trascorso due anni negli Stati Uniti. Molte cose sono cambiate da quando è partito, ma il ragazzo deve ancora affrontare i fantasmi del passato così come non si sono del tutto sopiti i sentimenti provati per il suo primo amore, Babi. Ad aiutarlo nella sua difficile ricerca della felicità interviene l'incontro con Gin, una ragazza bella e travolgente che gli farà provare emozioni e sensazioni che credeva sopite...
SCHEDA FILM

Regia: Luis Prieto

Attori: Riccardo Scamarcio - Step, Laura Chiatti - Gin, Katy Louise Saunders - Babi, Filippo Nigro - Marcantonio, Susy Laude - Eleonora, Giulia Elettra Gorietti - Daniela, Ivan Bacchi - Paolo, Luigi Petrucci - Giovanni, padre di Step, Caterina Vertova - Flavia, madre di Step, Claudio Bigagli - Claudio, padre di Babi, Galatea Ranzi - Raffaella, madre di Babi, Maria Chiara Augenti - Pallina, Mauro Meconi - Pollo

Soggetto: Federico Moccia - romanzo

Sceneggiatura: Teresa Ciabatti, Federico Moccia

Fotografia: Manfredo Archinto

Musiche: Ivan Iusco

Montaggio: Fabrizio Rossetti

Scenografia: Sarah Webster

Costumi: Sabina Maglia

Effetti: Andrea Baracca

Durata: 110

Colore: C

Genere: SENTIMENTALE DRAMMATICO COMMEDIA

Tratto da: romanzo omonimo di Federico Moccia (ed. Feltrinelli)

Produzione: RICCARDO TOZZI, GIOVANNI STABILINI, MARCO CHIMENZ PER CATTLEYA

Distribuzione: WARNER BROS. PICTURES ITALIA

Data uscita: 2007-03-09

NOTE
- MARCO CHIMENZ, GIOVANNI STABILINI, RICCARDO TOZZI SONO CANDIDATI AI NASTRI D'ARGENTO 2007 COME MIGLIORI PRODUTTORI.

- CANDIDATO AI NASTRI D'ARGENTO 2007 PER LA MIGLIORE CANZONE ORIGINALE.
CRITICA
"Di quanti errori e lacerazioni è costellato il percorso dall'adolescenza alla giovinezza, quando gli ormoni esplodono e l'energia trabocca? 'Ho voglia di te' affronta il tema nel più piatto dei modi, ma evidentemente questo conta poco per una tribù di ragazzini che si affaccia all'esperienza dell'amore con tanta voglia di facili rime con cuore. Togli le griffe e i locali di moda, togli l'ectasy e i più permissivi costumi sessuali, e sotto la superfici dell'oggi rispunta il mai tramontato repertorio dei battiti, gelosie, insicurezze: (...) Certo, a fronte dell'annunciato successo commerciale, il critico potrebbe obiettare che la materia poteva essere raccontata bene, che il regista spagnolo Luis Prieto equivale a un altro, che la cornice romana non è valorizzata, che i protagonisti sono mal caratterizzati e i personaggi minori inesistenti. E potrebbe rimpiangere l'epoca in cui l'educazione sentimentale era firmata Flaubert. Dimenticando però che anche nell'Ottocento, a vincere sul piano delle vendite, erano, pur non chiamandosi così, i romanzi rosa. Resta da osservare che nel passaggio dalla pagina allo schermo, Step ci ha guadagnato; Scamarcio, l'idolo di tutte, gli conferisce una vulnerabilità e un fascino tenero che il suo alter ego cartaceo non possiede." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 9 marzo 2006)

"Perché, quando uno, avendo una certa età e per di più trovandosi lì con il ruolo sempre un po' antipatico di 'critico', prova un vago imbarazzo a vedere film come 'Ho voglia di te?' Perché non riconosce, non può riconoscere, il valore banale quanto volete ma eterno di racconti così. (...) Il seguito di 'Tre metri sopra il cielo', delle avventure amorose del ribelle Step diventate oggetto di culto per gli adolescenti, è piuttosto ben fatto. Snodi efficaci, valorizzazione degli sfondi romani compresi i famosi lucchetti di Ponte Milvio recentemente difesi dal poetico Sindaco della Capitale., buona scrittura di situazioni e di personaggi (non tutti). E soprattutto due protagonisti perfettamente in grado di 'passare' da quel sentimento semplice e immediato dell'identificazione generazionale creato mezzo secolo fa da Brando e Jimmy Dean. Laura Chiatti ha trovato più qui che nei più nobili film di Francesca Comencini e Paolo Sorrentino l'occasione di dimostrarsi attrice." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 9 marzo 2007)

"Nella storia messa su pellicola da Luis Prieto (e da Federico Moccia, visto che oltre al romanzo all'origine dell'operazione firma anche la sceneggiatura in coppia con Teresa Ciabatti) non c'è niente che ricordi il cinema, quella verità che sa dare un'anima alle immagini, quella volontà di scegliere un punto di vista personale, quello sforzo di raccontare dei personaggi capaci di vivere di vita propria. Niente. Ci sono solo una serie di cliché che ripropongono per quasi due ore molti scontati luoghi comuni sugli adolescenti di oggi. (...) Rispetto al primo film ci sono meno moto e più auto, molta pubblicità palese e meno gergalità d'accatto, svapora la misoginia (c'è anche un tentato stupro castigato a cazzotti) ma rimane la stessa genericità sociologica. Questo riassunto, però, rischia di dare un' immagine più dinamica e (quasi) avvincente di un film che è invece piatto e sfibrato. Non c'è scena (impossibile parlare di colpi di scena) che non sia più che prevedibile, più che scontata, più che generica. In fondo non funziona nemmeno come piccolo campionario di casi adolescenziali, figuriamoci come melodramma in sedicesimo. Non ti appassioni mai, al massimo puoi solo esaminarlo, come si fa con un esempio, un risultato statistico. E le situazione più false e imbarazzanti sono quelle che si vorrebbero più rappresentative, più vere, come le scene in discoteca. O in ospedale. C' è più verità e dramma e tensione e amore in una sola battuta di un melò di Matarazzo o di Irving Rapper (non dico Sirk o Fassbinder) che nei centodieci minuti di 'Ho voglia di te'. Che dopo aver scambiato le immagini in movimento con il cinema, confonde la sceneggiatura con le frasi a effetto e infarcisce i dialoghi con perle di citazionismo adolescenziale, cioè il più pigro e accademico dei surrogati pseudo-narrativi. Così, alla fine, a chi ancora si ostina a cercare il cinema, resta solo la fitta al cuore che gli provoca vedere il mitico marchio Warner Bros. introdurre un film che non ha niente a che fare con la sua storia gloriosa. Forse è esagerato immaginare che Bogart si stia rigirando nella tomba, ma un po' ci piace crederlo. Chi paga ha sempre ragione e questi sono i film che oggi si pagano con più facilità. L'unica (misera) soddisfazione che ci resta è quella di non adeguarci a questo assassinio." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 9 marzo 2007)

"'Ho voglia di te' è il migliore, il più solido, il più fresco e meglio recitato di tutti questi film romantici di tendenza moccia-muccino. Intanto perché questo giovanissimo regista, Luis Prieto (...) dona al film un taglio da cinema internazionale e non si limita ai campi-controcampi da fiction tv. Poi perché si sente che è un film molto seguito a tutti i livelli produttivi. E infine perché riesce a non essere un semplice sequel, o l'illustrazione da fiction del romanzo di successo, puntando tutto sulla costruzione dei rapporti tra personaggi. E questo grazie alla presenza da star anni '60 di Scarmarcio, cresciuto rispetto al personaggio di bello e dannato di 'Tre metri sopra il cielo'e a quella dell'esordiente Laura Chiatti. (...) Se il Moccia-1 era un po' pariolo e molto macho, il Moccia-2 è un film civile al femminile, dove perfino gli autori della tv che vogliono farsi le ballerine vengono puniti. E perfino le sue lentezze, le sue divagazioni, fanno parte di una lettura di un pubblico che sa capire e vuole illudersi in qualche sogno. Lontano sicuramente dalla tv." (Marco Giusti, 'Il Manifesto', 9 marzo 2007)

"Se non si è adolescenti, un metodo infallibile per apprezzare 'Ho voglia di te' è quello di leggere i critici. O almeno quelli che pretendono di affrontare il sequel di 'Tre metri sopra il cielo' brandendo i testi della cinefilia francese e sparando paragoni con Matarazzo, Sirk e Fassbinder (!). Per farla breve, incolpare il nuovo film tratto dai best-seller di Federico Moccia (editi da Feltrinelli) di romanticume, sociologia spicciola e stereotipia equivale a maledire il gelato perché è troppo dolce. A fronte dell'annunciato successo commerciale è opportuno, invece, rievocare la stagione dei 'musicarelli', quei filmetti poveri, artificiali e frizzanti che nel corso dei Sessanta svilupparono i germi della serialità: esili situation comedy da grande schermo non ancora arresosi al piccolo, ripetizioni di storie ripetitive tuttavia in grado di offrirsi a una facile auto-riconoscibilità generazionale. (...) Nel tripudio di applausi e dichiarazioni d'amore per Scamarcio (alla Chiatti va, invece, l'odio un tempo riservato a Laura Efrikian), non resta che impartire l'indulgenza in nome dei nostri pomeriggi in fervida attesa della prima di 'Una lacrima sul viso'." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 10 marzo 2007)