Full Time - Al cento per cento
À plein temps

- Regia:
- Attori: - Julie, - Sylvie, - Mme Lusigny, - Nolan, - Chloé, - Vincent, - Madame Delacroix, - Sophie, - Lydia
- Sceneggiatura: Éric Gravel
- Fotografia: Victor Seguin
- Musiche: Irène Drésel
- Montaggio: Mathilde Van de Moortel
- Scenografia: Thierry Autout
- Costumi: Caroline Spieth
- Effetti: François Philippi, Aurélie Lafitte
- Suono: Dana Farzanehpour - (sound design), Valérie Deloof - (montaggio), Florent Lavallée - (mix)
-
Altri titoli:
Full Time
- Durata: 87'
- Colore: C
- Genere: DRAMMATICO
- Specifiche tecniche: (1:2.39)
- Produzione: RAPHAËLLE DELAUCHE, NICOLAS SANFAUTE PER NOVOPROD, IN COPRODUZIONE CON FRANCE 2 CINÉMA, HAUT ET COURT DISTRIBUTION
- Distribuzione: I WONDER PICTURES, UNIPOL BIOGRAFILM COLLECTION (2022)
- Data uscita 31 Marzo 2022
TRAILER
RECENSIONE
Non citeremo un vecchio quanto irresistibile sketch della Tv delle ragazze per chiederci – e ottenendo una risposta sbagliata – come faccia Julie, la protagonista di Full Time – Al cento per cento, a gestire una vita piena di impegni e vissuta sempre di corsa. Ma davvero ci si chiede come riesca a fare a tutto, a soddisfare le esigenze altrui mettendo da parte se stessa con i suoi sogni e bisogni.
Un orizzonte che risulta più chiaro pensando al titolo originale, À plein temps. È una vita a tempo pieno, quella di Julie, strattonata tra centro e periferia, che non ha un attimo di fiato, non si ferma mai, attraversa di corsa le strade in superficie e sotterranee di una città che sembra ignorare la sua quotidiana lotta per la sopravvivenza.
Al secondo lungometraggio di finzione (presentato a Venezia 78 nella sezione Orizzonti e premiato per la miglior regia e la miglior attrice, e al XXV Tertio Millennio Film Fest dove ha vinto il premio della Giuria di qualità), Èric Gravel non dimentica la lezione di Ken Loach e dei fratelli Dardenne, concentrandosi sul destino di una figura marginale rispetto alla narrazione ufficiale di una nazione en marche.
Proletaria dei giorni nostri, madre sola di due figli e ora cameriera di un hotel di lusso dopo aver perso il lavoro di addetta alle ricerche di mercato, Julie è l’ingranaggio di una macchina che non tiene conto della sua presenza ma si serve delle sue prestazioni pubbliche quanto private, facendosi emblema nolente di un ceto dimenticato.
Quella di Gravel è un’idea di cinema sociale – dunque politico – sì tradizionale per impatto sociale e voltaggio empatico eppure connessa con la contemporaneità, dove la rapidità spesso elevata a valore si configura qui come la trappola per una donna condannata ad abitare tempi stretti e costretti. E che a partire dall’esperienza del singolo sa illuminare una storia collettiva.
Girato con il ritmo implacabile del thriller, Full Time – Al cento per cento spoglia di retorica una vicenda ad alto tasso retorico, stando addosso a una donna che non è un’eroina ma, in una società che sfrutta e spolpa, finisce per compiere dei veri e propri atti da eroismo. Con un’interpretazione senza fiato, Laure Calamy è straordinaria nel non farsi cannibalizzare dalla frustrazione, lasciando sempre intravedere la luce di una possibile speranza.
NOTE
- REALIZZATO CON LA PARTECIPAZIONE DI: CANAL+, CINE+ AND FRANCE TÉLÉVISIONS; CON IL SUPPORTO DI: BOURGOGNE FRANCHE-COMTÉ REGION, CENTRE NATIONAL DE LA CINÉMATOGRAPHIE ET DE L'IMAGE ANIMÉE; IN ASSOCIAZIONE CON PALATINE ETOILE 18, HAUT ET COURT DISTRIBUTION, BE FOR FILMS; SVILUPPATO CON IL SUPPORT DI: NORMANDIE REGION, BOURGOGNE FRANCHE COMTÉ REGION, CENTRE NATIONAL DE LA CINÉMATOGRAPHIE ET DE L'IMAGE ANIMÉE, PROCIREP, ANGOA.
- PREMIO GIURIA DI QUALITÀ ALLA 25. EDIZIONE TERTIO MILLENNIO FILM FEST (2021).
CRITICA
"E la corsa sfiancante che priva di ogni piacere (...) è l' idea su cui Graval, al suo secondo lungometraggio ha costruito la narrazione: le 24 ore della donna da quando si sveglia nel buio, con l' occhio in primo piano, a quando scivola di nuovo nel letto. Un respiro implacabile, mozzato dall'ansia, che non permette a quei corpi risucchiati dai ritmi esterni «al cento per cento» di ritagliarsi un proprio spazio, qualcosa nel quale esistere. (...) Questa (bella) scelta formale, che nella ripetizione dà il senso della a vita della donna perde però le sue potenzialità nella relazione con una sceneggiatura che nonostante l'apparente discrezione è molto presente. A cominciare proprio dal personaggio di Julie, che sembra voler sintetizzare ogni dettaglio che potrebbe riguardare una donna nel precariato. Per carità è tutto «vero», ma che vi si ritrovi in una sola figura fa un po' casistica all' eccesso. E non si tratta di esigere un happy end - che peraltro arriva seppure fuori campo - ma di «aprire» la storia, lasciando un po' di libertà anche a chi guarda. Lo stesso conflitto quotidiano del contemporaneo può esistere - e persino meglio - se non è tutto «apparecchiato» per capire, permettendo qualche spiazzamento, delle imprevedibili sorprese. Qualcosa insomma che si fa cinema anche nel confronto col mondo." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 31 marzo 2022)