Flandres

Solitudine, guerre e dolore. Bruno Dumont si candida alla Palma d'Oro con una disperata e radicale radiografia dell'oggi

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FRANCIA 2006
Nelle Fiandre povere e battute da un vento che non dà tregua, alcuni ragazzi del luogo che hanno raggiunto la maggiore età scelgono di andare a combattere in una terra lontana. Tra questi c'è Demester, un giovane agricoltore che si arruola nella Legione Straniera e si ritrova al fronte insieme ad altri amici. Non sappiamo in quale paese combattano perché si tratta forse più che altro di uno spazio mentale e metaforico ma questi ragazzi dovranno raggiungere il fronte, affrontare marce forzare, obbedire ai comandi dei superiori. Vedranno materializzarsi le loro paure e obbediranno solo a regole di sopravvivenza più bestiali che umane perché dalla guerra non può nascere che altra violenza.
SCHEDA FILM

Regia: Bruno Dumont

Attori: Adelaïde Leroux - Barbe, Samuel Boidin - Demester, Henri Cretel - Blondel, Jean-Marie Bruveart - Briche, David Poulain - Leclercq, Patrice Venant - Mordac, David Legay - Tenente, Inge Decaesteker - France

Sceneggiatura: Bruno Dumont

Fotografia: Yves Cape

Montaggio: Guy Lecorne

Costumi: Cédric Grenapin, Alexandra Charles

Effetti: Fabien Girodot

Durata: 91

Colore: C

Genere: DRAMMATICO GUERRA

Produzione: 3B PRODUCTIONS, C.R.R.A.V, COOP 99, LE FRESNOY STUDIO NATIONAL DES ARTS CONTEMPORAINS, ARTE CINEMA

NOTE
- GRAN PREMIO DELLA GIURIA AL 59MO FESTIVAL DI CANNES (2006).
CRITICA
" (...) Mai al cinema avevamo visto mostrare con tale realismo come la guerra non possa che generare estrema e insensata violenza. Sopravvive chi accondiscende a seguire fino in fondo gli istinti bestiali e riuscendo come una bestia a trovare la via di fuga e la salvezza. (...) Film disperato quanto radicale, recitato benissimo da attori non professionisti, Flandres è una radiografia spietata di un inizio secolo segnato da guerre, solitudine e dolore. Un'opera che chiede molto all'emotività dello spettatore, ma che è sorretta dallo sguardo di Dumont che, per quanto privo di censure, è anche immensamente carico di pudore." (Angela Prudenzi, cinematografo.it)

FLANDRES
"Opaco, brutale, enigmatico è 'Flandres' di Bruno Dumont, già regista del premiato e contestato 'L'humanité'. Anche qui siamo in zona Apocalisse, ma Dumont è un regista-pittore, non un narratore. Più che psicologie e dialoghi, quasi inesistenti, contano i paesaggi, la loro materialità, che traducono a meraviglia l'interiorità di questi personaggi quasi animali, al di qua di ogni morale. C'è di mezzo una guerra imprecisata in Medio Oriente che cambierà per sempre la vita di un gruppo di ragazzotti di provincia. Il copione è noto: violenze, stupri, uccisioni, ritorsioni, mostrati con la stessa cruda indifferenza riservata ai coiti campestri del protagonista prima della partenza. Un film estremo, violentemente antinaturalistico, difficile da amare (fischi e applausi in platea), che però turba e scuote. Anziché cercare il facile consenso come fa il messicano." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 24 maggio 2006)

"Meglio non dilungarsi, per ragioni di mera diplomazia professionale, su 'Flandres' del francese Bruno Dumont, che descrive il miserabile tran tran quotidiano di giovani fiamminghi senza anima o morale, ravvivato (si fa per dire) dalla chiamata alle armi. Dove l'interrogativo critico più corposo non può essere che quello di decidere se siano più squallidi i vagabondaggi casalinghi o quelli praticati tra le bombe del carnaio mediorientale." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 24 settembre 2006)

"'Flanders' è anche un film d'amore: amore amaro, consumato in fretta e in silenzio tra gente che stenta a comunicare; eppure unica speranza di redenzione in un mondo che non voglia arrendersi del tutto all'orrore." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 24 maggio 2006)

"Tremo all'idea dei ditirambi che potrebbero intonare certi critici parigini intrisi di cinefilia mista a sciovinismo. Girato nelle Fiandre e in Tunisia, è l'odissea di un rurale che sembra Gosto Grullo, trasformato in un robot in divisa in un'imprecisata e feroce guerra paracoloniale, mentre la compagnuccia rimasta al paese finisce in manicomio come nei racconti dell' 800. Immagini magari belle, ma fini a se stesse, interpreti non professionisti; e si vede." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 24 maggio 2006)