Fahrenheit 9/11

Efficace e devastante. Michael Moore mette un altro tiro a segno con il documentario in gara a Cannes

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USA 2004
Il documentario cerca di spiegare perché gli Stati Uniti sono finiti nel mirino del terrorismo. Mette in luce lo storico legame tra la famiglia di George W. Bush e Osam Bin Laden e come il presidente Usa avrebbe strumentalizzato la tragedia dell'11 settembre, a livello internazionale, per i propri interessi.
SCHEDA FILM

Regia: Michael Moore

Attori: Michael Moore - Se stesso, Debbie Petriken - Se stessa

Soggetto: Michael Moore

Sceneggiatura: Michael Moore

Fotografia: Mike Desjarlais

Musiche: Jeff Gibbs

Montaggio: Todd Woody Richman, Kurt Engfehr, Christopher Seward

Altri titoli:

Fahrenheit 911

Durata: 110

Colore: C

Genere: DOCUMENTARIO

Produzione: MICHAEL MOORE PER DOG EAT DOG PRODUCTION E MIRAMAX FILMS

Distribuzione: BIM

Data uscita: 2004-08-27

NOTE
- PALMA D'ORO AL 57. FESTIVAL DI CANNES (2004)

- IL FILM HA COME SOTTOTITOLO "LA TEMPERATURA A CUI BRUCIA LA LIBERTA' ".
CRITICA
"Di fronte a 'Fahrenheit 9/11', che imposta una tematica esorbitante dai confini della critica cinematografica, vorrei limitarmi a giudicarlo come film. Si tratta di un pamphlet mirato senza mezzi termini a silurare la rielezione di Bush. Due ore traboccanti di scoperte, denunce e magari colpi bassi. Il povero George è presentato come un figlio di papà dal dubbio passato militare, socio in sfortunate imprese petrolifere con la famiglia di Bin Laden, eletto grazie a un broglio in Florida, insediato fra i fischi, sempre in ferie nei primi tempi della presidenza e dopo l'11 settembre creatore e propagatore di un culto della paura per giustificare il suo attacco in forze contro l'Iraq accusato senza prove di preparare armi letali. Moore denuncia che il cosiddetto Patriot Act, limitativo delle libertà individuali, è stato votato dal Senato senza leggerlo, deplora che la carne da cannone per la guerra Oltremare provenga dalla circonvenzione della povera gente, provoca i senatori chiedendogli di mandare in guerra i loro figli e ci fa sapere che, mentre i reduci e i mutilati sono trattati malissimo, intorno al conflitto si è creata una grossa rete di affari. 'Spero che quel cretino non venga più eletto' si legge nell'ultima lettera di un caduto. In un film così ci sono aggressività e demagogia, ma ci sono parecchie cose su cui riflettere; e c'è, soprattutto, un uso sapiente della macchina cinema. Per cui si potrebbe dire, rovesciando Machiavelli, che per Michael Moore il mezzo giustifica il fine." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 18 maggio 2004)

"La posta è immensa, le accuse gravissime. C'è da provare che Bush e il suo staff sapevano o potevano sapere molte cose ben prima dell'11 settembre; che la guerra in Iraq è stata pianificata a freddo; che l'America vive nel terrore per un calcolo politico. Ideologia, dietrologia, diranno i detrattori. Ma Moore, da vero bulldozer, fa nomi e cifre, collega fatti, intervista testimoni chiave. E se non ottiene prove giudiziarie, assesta all'immagine del presidente-affarista un colpo mortale. Trovando perfino il modo di strappare risate. (...) Naturalmente, l'autore di 'Bowling a Columbine' è sempre lui, e accanto all'inchiesta imbastisce una serie di provocazioni esilaranti malgrado lo sfondo tragico. Come quando spigola fra gli spot dei prodotti lanciati sul mercato Usa dopo l'11 settembre. Oppure gira per Washington col megafono per diffondere il famigerato Patriot Act , visto che i politici lo hanno approvato ma non letto. E per finire chiede ai deputati che vanno al lavoro perché non mandano i figli a difendere la patria in Iraq, distribuendo anche dépliant dei marines. L'ultima parte del film, che comprende anche una puntata in Iraq, è la più scivolosa e già datata. Ma non dimenticheremo facilmente quei carristi-ragazzini che raccontano come scelgono le canzoni da mettere in cuffia prima di andare all'attacco. Né l'ultima raffica di cifre, i soldati reclutati nelle zone più povere degli Usa, gli autisti della 'Halliburton' di stanza in Iraq (la ditta già di Dick Cheney) che guadagnano il triplo dei militari, Bush che come ciliegina tenta di tagliare stipendi e sussidi ai soldati e alle loro famiglie. 'God Bless America' insomma, Dio benedica l'America. Ne ha proprio bisogno." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 18 maggio 2004)