Dalla vita in poi

ITALIA 2010
Rosalba, per alleviare le sofferenze del carcere al suo fidanzato Danilo, decide di scrivergli delle lettere romantiche. Tuttavia, per trovare le più dolci e appassionate parole d'amore, Rosalba ricorre all'acume sentimentale dell'amica del cuore Katia. Quest'ultima, costretta su una sedia a rotelle, aiuterà l'amica nella sua missione, ma ben presto le liriche parole d'amore impresse sulla carta e le appassionate risposte di Danilo faranno nascere un'altra storia d'amore dai risvolti inaspettati...
SCHEDA FILM

Regia: Gianfrancesco Lazotti

Attori: Cristiana Capotondi - Katia, Filippo Nigro - Danilo, Nicoletta Romanoff - Rosalba, Carlo Buccirosso - Direttore del carcere, Gianni Cinelli - Assistente Vitale, Pino Insegno - Sovrintendente Ciarnò, Carlo Giuseppe Gabardini - Assistente sociale, Arcangelo Iannace - Don Paolino

Soggetto: Gianfrancesco Lazotti

Sceneggiatura: Gianfrancesco Lazotti

Fotografia: Alessandro Pesci

Musiche: Pietro Freddi

Montaggio: Federico Aguzzi, Andrea Bonanni, Francesca Masini

Scenografia: Fabio Vitale

Costumi: Alessandra Cannarozzi

Suono: Roberto Alberghini

Durata: 85

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Produzione: PIERPAOLO PAOLUZI PER ROSA FILM IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA E FACCIAPIATTA

Distribuzione: 01 DISTRIBUTION

Data uscita: 2010-11-19

TRAILER
CRITICA
"Filippo Nigro è in carcere, la fidanzata Nicoletta Romanoff non ha inchiostro né cervello e le lettere gliele scrive l'amica Cristiana Capotondi. Penna fina: subentra lei, e "Dalla vita in poi' sarà due cuori e una galera. Dopo qualche 'Vita di troppo' (ricordate Luchetti?), Gianfrancesco Lazotti guadagna la sala, ma finisce qui. Il torace di Nigro e i capelli della Capotondi a letto fanno sonno e non eros, e il film si abbiocca tra le sbarre in attesa dell'aldilà: regia sciatta, attori slegati, storia anemica. Si salva la musica: la compianta Valentina Giovagnini e lo scult 'Un elefante si dondolava' della Capotondi. (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 18 novembre 2010)

"Variazione sul tema di Cyrano, gioco psicologico sottile che alla fine si rivela pericoloso. Buccirosso, uno dei migliori attori italiani, fa il direttore del carcere." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 19 novembre 2010)

"Sorta di Cyrano al femminile della periferia romana. (...) Scritto e diretto da Lazotti ispirandosi a una storia vera, 'Dalla vita in poi' non sviluppa in modo adeguato lo spunto narrativo, così come non riesce a trovare il giusto punto di equilibrio fra scene di alleggerimento e registro drammatico. Ne fanno le spese gli interpreti, che sembrano recitare ognuno il proprio film." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 19 novembre 2010)

"Esperimento ardito 'Dalla vita in poi': drammone d'amore sottoproletario (ma la Capotondi sembra sempre una principessina so-tutto-io; ragazza di borgata? Ma fateci il piacere!) mischiato a commedia sentimentale a lieto fine concretizzato dallo slogan: 'Se stai in un tunnel e non hai via d'uscita; arredalo'. La cosa più bella e vera, è una Romanoff esplosiva che sembra abitare perfettamente la periferia di Roma e dell'anima. Dai vestiti alla parlata. Bello un momento di ralenti improvviso per un bacio rubato al parlatorio e bravo Pino Insegno come poliziotto spregevole ma umano." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 19 novembre 2010)

"Tre figure 'borderline' per necessità, che il regista (esperto in tv movie) fotografa nel loro tentato riscatto. Il film si ispira a un fatto vero di cronaca. Anche se Filippo Nigro non ha mai potuto incontrare (regolamenti carcerari) il suo personaggio, e l'immedesimazione-imitazione resta dunque immaginaria (come il carcere, ricostruito, in meglio, in studio). (...) Un materiale così eversivo per il nostro immaginario, forzato dalla legge Mammì a rispettare pulsioni da oratorio, se no niente 'prime time', e a riportare tutto all'ordine simbolico, corre il rischio di scivolare nei cliché, nel pietismo, nella retorica, nel sentimentalismo (il nemico pubblico numero 1 dei sentimenti). Lazotti risponde con un copione e un decoro da commedia secca affidata a Katia, sfacciata e colta nell'usare l'handicap, pilota di questa corsa verso la libertà degli unici tipi antisociali a non essere 'eroi dei nostri tempi'." (Roberto Silverti, 'Il Manifesto', 19 novembre 2010)

"Pretenzioso dramma sociale scritto e diretto dal giovane Gianfrancesco Lazotti, una malinconica storia d'amore girata con pochi mezzi e scarso rispetto per la verosimiglianza. (...) Tra le tante domande irrisolte, come fa Katia, senza padre né redditi e con madre proletaria, a permettersi una Mercedes Classe A?" (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 19 novembre 2010)

"Tutta colpa di Cirano. Quello di Bergerac. Anche in questa commedia drammatica gestita da gente ai margini sociali c'è una doppia identità, un doppio sogno, un doppio amore. (...) Il soggetto di 'Dalla vita in poi' (la disabile, che dalla vita in poi è normale, con ampia facoltà di metafora) funziona, ma peccato che l'idea base, gonfia di attualità, non stia al passo di una sceneggiatura che si perde nella banalità insistita di macchiette di contorno, bisognosa di action, marescialli in fregola come Pino Insegno, direttori di carcere assai ingenui (il bravo Carlo Buccirosso) come in un telefilm che deve variare toni per non perdere audience. Ma i personaggi delle due ragazze, soprattutto in una contrapposizione che poi latita, sono schizzi piuttosto felici per due attrici in crescita. (...) Ecco, è la confezione che oscura la verità dei sentimenti e frena la carica emotiva di un soggetto che confina da una parte con il gangster movie e dall'altra con un melò senza confini in cui sembra che quasi la realtà non esista, ostaggio di un complotto drammaturgico che tende a rendere finzione un pezzo di vita e sofferenza che avrebbero bisogno di maggior realismo e sincerità, costi quel che costi, anche il passaggio dalla prima alla seconda serata." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 19 novembre 2010)

"Il regista (soprattutto tv) Lazotti rischia molto nell'incrociare ad alta tensione cronaca, realismo e melodramma, ma 'Dalla vita in poi' riesce a mantenersi in equilibrio sulla discrezione con cui mette in scena i dubbi, i tormenti e le scelte dei protagonisti. (...) Il merito della giovane produzione è quello di raffreddare argomenti a forte rischio di retorica concentrandosi sull'aspra credibilità di personaggi normali e nello stesso tempo estremi: in questo senso la diafana Capotondi compie un passo decisivo di carriera, conferendo all'ostinata e quasi fanatica Katia accenti di pura intensità noir; la Romanoff borgatara conquista lo spettatore con la sua straripante naiveté e Nigro s'immedesima in un duro dai risvolti teneri superiore al consueto cliché." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 19 novembre 2010)