Achille e la tartaruga

Akiresu to kame

Takeshi "Beat" Kitano ancora in Concorso per chiudere la trilogia sulla "morte" dell'artista (se stesso): poetico e amaro ritorno di un gigante

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GIAPPONE 2008
Machisu, unico figlio di un ricco collezionista d'arte, ha dedicato tutta la sua esistenza alla pittura nel tentativo di affermarsi nel mondo delle arti visive. I suoi sforzi, però, non hanno portato i risultati sperati. Infatti, nonostante l'enorme impegno da lui profuso e la strenua collaborazione di sua moglie Sachiko, lei sembra essere l'unica a capire la sua arte e i suoi esperimenti artistici disprezzati dai galleristi e poco tollerati, non solo dai vicini di casa, ma anche dalla figlia Mari.
SCHEDA FILM

Regia: Takeshi Kitano

Attori: Takeshi Kitano - Machisu adulto, Kanako Higuchi - Sachiko adulta, Yurei Yanagi - Machisu giovane, Kumiko Aso - Sachiko giovane, Akira Nakao - Sig. Kuramochi, padre di Machisu, Masatoh Ibu - Sig. Kikuta, commerciante d'arte, Reo Yoshioka - Machisu bambino, Mariko Tsutsui - Sig.ra Kuramochi, matrigna di Machisu, Ren Ôsugi - Tomisuke Kuramochi, zio di Machisu, Aya Enjouji - Moglie di Tomisuke, Eri Tokunaga - Mari Kuramochi, figlia di Machisu, Nao Omori - Figlio di Kikuta, commerciante d'arte

Sceneggiatura: Takeshi Kitano

Fotografia: Katsumi Yanagijima

Musiche: Yuki Kajiura

Montaggio: Takeshi Kitano

Scenografia: Norihiro Isoda

Altri titoli:

Achilles and the Tortoise

Durata: 119

Colore: C

Genere: COMMEDIA

Specifiche tecniche: ARRIFLEX 535B, 2K, 35 MM (1:1.85)

Produzione: BANDAI VISUAL COMPANY, OFFICE KITANO, TV ASAHI, TOKYO FM BROADCASTING CO., TOKYO THEATERS COMPANY, WOWOW

Distribuzione: RIPLEY'S FILM

NOTE
- IN CONCORSO ALLA 65. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2008).

- I DIPINTI SONO DI TAKESHI KITANO.
CRITICA
"Kitano, mostrandosi eccellente conoscitore della materia che esamina, passa in rassegna tutte le mode susseguitesi nel '900. In ciascuna di esse si cimenta il nostro artista, ma ogni volta il gallerista di turno gli dice di no: riprovi perché il talento non gli difetta. Nel suo viaggio nelle esperienze artistiche del secolo scorso, Kitano ora sorride e ora si fa serio mentre conclude che non c'è più nel nostro mondo l'arte figurativa, ormai vittima di artifici e autoinganni. Aveva insomma ragione Zenone quando sosteneva che il piè veloce Achille non raggiungerà mai la sua meta". (Francesco Bolzoni, 'Avvenire', 29 agosto 2008)

"La piccola antologia annosa dei metodi pittorici è divertente ma anche grossolana; l'entusiasmo dell'artista volontarista senza talento e della moglie, che è la sua aiutante è commovente e ridicolo, mentre le riflessioni intellettuali possono suonare più elementari che profonde. Ma il film è bello, ricco di creatività e soluzioni brillanti". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 29 agosto 2008)

"Kitano usa il paradosso di Zenone tra Achille e la tartaruga per raccontare la vita di chi si sente obbligato a diventare artista ma non riesce a realizzare le proprie ambizioni. Se la fanciullezza di Machisu si snoda come una specie di melodramma dickensiano, tra padri ricchi che si suicidano e zii poveri che lo umiliano, l'adolescenza lo vede spaesato comprimario dei movimenti pittorici d'avanguardia, mentre la maturità si trasforma in un eterno pellegrinaggio da un mercante che ogni volta mette in evidenza i difetti delle sue opere troppo imitative. Nelle intenzioni del regista questo film dovrebbe chiudere la trilogia sulla crisi dell'artista (dopo 'Takeshi's' e 'Kantoku Banzai!') ma alla fine il gioco mostra troppo la corda e nonostante alcuni numeri di umorismo raffreddato e surreale il tono sembra inutilmente gratuito e le accuse sulla vacuità dell'arte decisamente fuori luogo da parte di un artista che arte l'ha fatta davvero in passato". (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 29 agosto 2008)

"Mezz'ora di meno e 'Achille e la tartaruga' di (e con) Takeshi Kitano, sarebbe il primo buon film in concorso della Mostra. Sebbene tirato in lungo, è opera dignitosa, una netta ripresa dopo il modesto 'Takeshi's' e il modestissimo 'Kantoku Banzai!', che facevano pensare al declino precoce - è del 1947- di uno dei rari innovatori del cinema nell'ultimo ventennio. Kitano racconta regolarmente parti di sé, del suo temperamento e della sua biografia. A differenza di Moretti, che fa lo stesso ma è una personalità squadrata, Kitano è una personalità prismatica. Ciò gli consente di mostrar sempre nuove facce: ora tocca a quella del pittore naïf, che - stando al personaggio del film - nessuno prende sul serio. C'è umorismo, ma anche amarezza nella vicenda: è un Kitano alla maniera di Ozu". (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 29 agosto 2008)

"Fatica varia, con un crescendo che opponendo il nostro pittore a un gallerista che di continuo denigra la sua opera, ci fa assistere a un seguito di ricerche pittoriche che, spaziando attraverso tutte le più aggressive espressioni dell'arte visiva di oggi, si affidano, nella rappresentazione, ora alla caricatura ora a una polemica tanto più beffarda in quanto ci sia dato sapere che tutti i dipinti, dai più normali ai più eccentrici a noi via via sottoposti, hanno proprio Kitano come autore, ben lontano in questo campo, dal suo modo a noi ben noto di far cinema. Tre momenti stilistici. Un realismo quieto quando è di scena il bambino, una certa astrattezza figurativa quando è diventato un giovanotto, una violenta vitalità cromatica quando, da adulto, si cimenta con gli avvenierismi della sua ispirazione. In cifre in cui l'ironia spesso si affaccia, ma con amarezze che sfiorano il dramma". (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 29 agosto 2008)

"Kitano porta con se la scia di una appeal tutto di genere festivaliero e non smentisce il tocco fantasioso, beffardo, disincantato del suo sguardo tragicomico. Si tratta di un ragazzino fissato con il voler diventare pittore, seguito nel tempo fino a maturità inoltrata, attraverso mille tappe talvolta esilaranti. E' un frullatore per fortuna abbastanza leggero e autosfottente dentro il quale si rincorrono spiritosamente tante questioni una più grande dell'altra. Che cosa sono e come riconoscere talento e creatività, realismo oppure no, insidie della moda e del mercato, dell'arte messa al servizio della propaganda ideologica o della pubblicità commerciale, trappole dell'imitazione e tentazione della ripetizione seriale. Su tutto un susseguirsi incessante tra arte e vita che decreta con un finale brillante ma un po' sbrigativo e moraleggiante il predominio della seconda". (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 29 agosto 2008)

"Gustoso il nuovo Kitano, terza parte della trilogia sull'arte iniziata dal contestato 'Takeshi's'. Parte classico e dickensiano con crescita difficile di Machisu, bambino giapponese che vuole fare il pittore. Dopo i dolori dell'infanzia, Machisu entra in una scuola d'arte e con un gruppo scapestrato di studenti rifarà tutto e tutti: Mirò, Picasso, Warhol, Pollock e alcuni deliranti tentativi di action painting in cui qualcuno ci lascia le penne. Senza arte né arti. Qui il film diventa una serie di gag slapstick che ricordano 'Mai dire Banzai', trasmissione tv commentata dalla Gialappa's Band che vedeva Beat Takeshi Kitano sadico conduttore. Machisu continua a non sfondare. In compenso troverà l'amore. Terza parte e terza età dell'eroe. Con la faccia piena di tic dello stesso Kitano il nostro sperimenta l'assurdo: dipingere dopo aver rischiato l'annegamento oppure far prendere la moglie a cazzotti colorati da un pugile nero. 'Quale padre accetterebbe i soldi della figlia prostituta?', gli chiede irata la figlia quando lui è in cerca di denaro. Situazione paradossale. Come l'incipit: Achille e la tartaruga ovvero l'arte vale in sé anche se non ti muovi di un centimetro oppure conta solo nel momento in cui il successo ti fa correre come fossi Bolt? Kitano ha deciso. Con caparbia tenerezza. Ma questo non basta a segnarne il grande ritorno a Venezia. Tutti i quadri sono suoi come ai tempi dei disegni di 'Hana-bi'. Questi sono buffi. Quelli erano struggenti. La differenza tra i film è tutta qui". (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 29 agosto 2008)

"Dopo il 'Takeshi's' in cui Kitano faceva i conti con le sue molteplici personalità e 'Glory to the Filmaker' costruito sulla distruzione dei generi cinematografici, l'ex comico giapponese redentosi sulla via dell'ilarità grazie a un incidente quasi mortale che ha regalato quella smorfia sarcastica al suo viso, arriva al nocciolo della questione. Achille raggiungerà la tartaruga solo quando smetterà di inseguirla. L'artista finirà di distruggersi solo quando accetterà la natura effimera, e probabilmente inutile, della sua arte. Bellissima conclusione per la lunga strada percorsa da questo autore che dopo le intensità degli esordi (con 'Furyo', 'Sonatine', ma soprattutto 'Hana-bi' Leone d'oro nel 1997) si era mille volte perso e ritrovato in tortuosi sentieri di ricerca. Con 'Achille e la tartaruga' Kitano raggiunge l'equilibrio perfetto tra comicità e tragedia, toccando momenti di chapliniana perfezione. E' il primo autore del concorso a candidarsi per il Leone. Se lo dovesse vincere darebbe un bel segno a questa Mostra, ricordandoci che il cinema è soprattutto arte di ombre. Destinate a morire alle prime luci dell'alba". (Roberta Ronconi, 'Liberazione', 29 agosto 2008)

"'Achille e la tartaruga', ovvero la terza tappa del conclamato percorso verso un 'suicidio artistico', ci è sembrato un film stanco e ripetitivo, banale e noioso nonostante le fatidiche piroette dell'autore-interprete e forse rilevatore dell'esaurimento del suo ardito e bislacco taglio creativo. È vero che già nei precedenti 'Takeshi's' e 'Glory to the Filmmaker' Kitano aveva iniziato la beffarda demolizione dei luoghi comuni alla base della fama e del successo in tutti i campi artistici, ma il progetto stavolta vorrebbe essere serioso, strutturato, realistico, pessimistico, addirittura filosofico. Dunque ecco la storia dall'infanzia alla maturità di un personaggio che sembra vero, un finto biopic dedicato alle disavventure esistenziali e professionali del più esemplare dei geni incompresi... (...) Di fatto il messaggio tra il serio e il faceto sull'inclassificabile follia dell'artista e sulla minima differenza tra il genio produttivo e quello sterile non si discosta molto dalla pantomima cabarettistica". (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 29 agosto 2008)