Beth (Julianne Nicholson) è stata dieci anni in galera per omicidio colposo. Tornata in libertà, per buona condotta, cerca di ricostruire la propria vita. Ma è una ricostruzione che, per la donna, non può prescindere dal riappropriarsi dell’unica cosa che davvero conta per lei, suo figlio, affidato a suo tempo alla sorella e al cognato e cresciuto con loro. E l’amore, anche quello di una madre, deve fare i conti non solo con il passare del tempo, ma anche con la legge. Dapprima aperti alla possibilità, ora i due genitori del bambino (che ignora il fatto che Beth sia la madre biologica) si oppongono alla custodia condivisa: che cosa è disposta a fare, la donna, per potersi riavvicinare a suo figlio?

Questa è la premessa del film di Matthew Newton (attore alla quarta prova da regista). Lo sviluppo, pur tenendo al centro la figura di Beth, tenta di ampliare lo spettro e soffermarsi su alcune situazioni dicotomiche: l’ingresso in scena dell’avvocato idealista interpretato da Emma Roberts – sempre in prima linea per difendere gli oppressi e gli emarginati – serve proprio a questo, in fondo, a calcare la mano sulle opposte situazioni familiari di due personaggi agli antipodi, Beth e Jess, che naturalmente finiranno per incrociarsi.

Non è un brutto film, We Are We Now, ma la sua natura fortemente indie finisce per cozzare con uno schematismo alle lunghe sin troppo smaccato: è un susseguirsi di coincidenze e incroci, di non detti che poi saranno comunque svelati, a caratterizzare una narrazione che anche il montaggio vorrebbe camuffare come “casuale”, ma che in realtà è figlia di un calcolo ben preciso. E non sfugge a questa logica anche l’incontro in un bar tra Beth e Peter (Zachary Quinto), ex marine che nell’inferno dell’Afghanistan riusciva a trovare una ragion d’essere e che invece, oggi, non riesce a ritrovarsi nell’inferno meno palese di una quotidianità fatta di ex moglie e figlia che non riesce comunque mai a vedere.

Chi siamo oggi, dunque? Il film di Newton prova a ragionare su questa trasformazione, su come e quanto il tempo – e soprattutto il modo e il luogo in cui è stato speso – determini il nostro presente. L’assunto è forte, la resa un tantino claudicante.

 

Brava, indubbiamente, Julianne Nicholson (che alla Festa di Roma è presente anche nel cast di I, Tonya, dove interpreta l’allenatrice della protagonista), che riesce a dare corpo – ed emozione – a questa donna chiamata a confrontarsi con un passato che, inevitabilmente, ne condiziona il presente pregiudicandole il futuro. A meno che, per un bene maggiore, non decida di fare un passo indietro.