Guatemala, alle pendici di un vulcano ancora pienamente attivo, vivono e lavorano molti contadini di povera condizione, tra i quali Maria, ragazza Maya di 17 anni con i genitori. La piantagione di caffè offre a tutti un lavoro appena sufficiente, e rende più forte il sogno di andare nella ‘grande città’. Succede invece che Maria viene destinata in sposa ad un uomo del posto e che le due famiglie si vedono per stringere l’accordo e siglare l’intesa. Maria però non si rassegna e trova l’unica via d’uscita In Pepe, giovane raccoglitore di caffè deciso ad andare negli Stati Uniti… Jayro Bustamante nasce in Guatemala nel 1977, studia regia a Parigi e Roma e realizza alcuni corti premiati in vari festival.

Per il suo film d’esordio, Vulcano, scrive una storia ambientata nel cuore della comunità maya chiamata “Kaqchikel”. “Le comunità che abitano gli altipiani –ricorda- hanno subito il violento impatto del traffico dei minori nel corso del conflitto armato che ha flagellato il Paese e anche oltre (1960-1966)”. Su questo delicato e rischioso argomento, Bustamante costruisce un copione che ha il pregio di restare a viso aperto dentro la realtà di quel territorio, di non avere timore di nascondere attese e speranze, di incidere sul volto dei protagonisti fremiti e alternanze tra bugie, sospetti, spaventi.

Misurata, lucida, svelta e priva di retorica, la regia si muove dura e incisiva, capace di costruire una limpida sinergia tra il vero e la mestizia della finzione, restando aperta alla denuncia sociale e alla capacità di dare respiro al dolore dei poveri, dei dimenticarti, degli ultimi di quel mondo abbandonato, dove il vulcano diventa il paradigma di un fine vita e di un nuovo inizio, il traguardo di un sogno che non arriva e anzi finisce in quella bara finale tristemente vuota. Film aspro, difficile, doloroso e bello, attraversato da ascolto e comprensione, sul volto di Maria, una efficacissima Maria Mercedes Coroy.