Per carità, quale momento di poesia c’è pure. E i personaggi, che quasi chiameremmo persone, li conosci, li hai forse già incontrati, e gli vuoi bene, ti ci affezioni. Nicola (Ascanio Celestini) che dice di non bere più ma beve sempre; Salvatore (Francesco De Miranda, una palla di simpatia), che ha madre certa e prostituta (Veronica Cruciani), padre ignoto e un disamore per i gelati. E, ancora, Sasà (Salvatore Striano), che vie di incendi e truffe su strada, e Sofia (Alba Rohrwacher), che non vuole finire alla salsamenteria del padre ma non sa decidersi a null’altro. Comunque vada, bisogna dir(se)lo: Viva la sposa, opera seconda dopo Pecora nera (2010) di Ascanio Celestini.

Location il Quadraro di Roma, milieu un (sotto)proletariato di marginali offesi ma non vinti, anzi, vivi e vivacissimi, il TSO mortifero della polizia, le truffe e i papponi da stendere per corollari, perché sono sempre i soliti ragazzi, quelli di Pasolini, con Celestini che pensa anche alla lezione neo-neorealistica dei Dardenne, qui co-produttori, e ai miracoli zavattiniani. Tante cose, troppe, e si sente la mancanza di un centro di gravità, un ubi consistam poetico, forse, una sceneggiatura ben piazzata, e lo sporco, quello vero, che dovrebbe permeare anche le favole-verità.

In cartellone alle Giornate degli Autori di Venezia 72, Viva la sposa conferma le capacità affabulatorie, po-etiche di Celestini, ma insieme la difficoltà dell’autore romano a fare del cinema non solo un mezzo ma un fine: la strada per il realismo magico non è (ancora) il chilometro del Quadraro.