Nei primi anni '70 della bigotta Spagna franchista, cosa si potrebbe inventare la casa editrice Montoya per risollevare le sorti di un bilancio non felicissimo? Semplice: impegnare i propri venditori di enciclopedie a domicilio nell'inconsueto  ruolo di registi per la realizzazione di filmini di carattere erotico amatoriale e convincerli che il tutto sarà poi distribuito dall'"illustrissima" Enciclopedia Danese Mondiale della Riproduzione. L'unico dipendente che, in accordo con la moglie (Candela Peña), accetterà l'incarico, sarà Alfredo Lopez (Javier Camara). Costretti dalle ristrettezze economiche e speranzosi di poter finalmente procreare, i coniugi innamorati garantiranno enormi introiti alla Montoya e Alfredo si calerà talmente nella parte da proporre al suo capo la realizzazione di un lungometraggio, improbabile esperienza metafisica, ispirata al cinema di Ingmar Bergman, ambientata nella vacanziera Torremolinos.
Coproduzione iberico/danese datata 2003, l'opera d'esordio di Pablo Berger ha ottenuto più di qualche consenso e vari riconoscimenti in giro per il mondo (Candela Peña premiata come Miglior Attrice al Miami Film Festival e al Butaca Film Festival, il premio come Miglior Opera Prima ai Sant Jordi Awards), forte probabilmente di un soggetto che, come qualche volta accade, potrebbe allontanare i giudizi dalla reale validità del prodotto. Torremolinos 73, pur tentando la carta della sempre coraggiosa inflessione metacinematografica (che qui assume una valenza simbolica di non poco conto, considerando che all'epoca i lavori di Bergman arrivavano in Spagna mutilati dalla censura), non riesce a percorrere una linea guida che possa condurlo a traguardi riconoscibili: va bene rimanere sospesi tra commedia e dramma, sarebbe meglio però indurre chi guarda alla risata e/o al coinvolgimento con un po' più di convinzione. La sterilità che affliggerà i due protagonisti in corso d'opera è la stessa, evidente, con cui il film si trascina verso il finale. Questo sì, forse, decisamente triste.