La tossicodipendenza uccide i sogni, le speranze, e distrugge gli affetti, in un tunnel di morte che ogni giorno si fa sempre più scuro. L’azzurro del cielo si trasforma in un blu profondo e tutto diventa ovattato, irreale, e le ore trascorrono in un tempo indefinito. L’unico obiettivo è recuperare la dose, tutto il resto è oscuro, malato, e nei rari momenti di lucidità si vorrebbe cambiare, per tornare a vivere. Ma non tutti hanno questa forza. Requiem for a Dream e Trainspotting immergevano gli spettatori in un mondo disperato, dove i veri protagonisti erano le siringhe e la polvere bianca.

The Best of All Worlds affronta il dramma, scende agli inferi e racconta la tragedia attraverso gli occhi di un bambino di sette anni, troppo piccolo per comprendere, ma abbastanza grande per soffrire. Il suo nome è Adrian e nella vita vuole fare l’avventuriero, vuole spiccare il volo e dimenticare quelle serate asfissianti passate davanti alla televisione, con la madre Helga priva di sensi nel salotto. Lei vorrebbe tornare “pulita”, ma l’amante Günter e i suoi amici non glielo permettono.

 

Allora Adrian si costruisce una realtà parallela, dove i prodi guerrieri combattono contro le bestie feroci. La fantasia è l’unica salvezza e, in una delle sequenza più riuscite del film, lo vediamo preparare un mix di oppiacei come se fosse una pozione magica. Follia. Forse è proprio la sua ingenuità a salvarlo. Immagina di essere un arciere, che si aggira nella foresta per sconfiggere il male nascosto tra gli alberi. Il bosco rappresenta la sua casa, le quattro mura che dovrebbero proteggerlo, invece di esporlo al pericolo. Adrian è un piccolo eroe che cerca di salvare se stesso dall’irrimediabile. I suoi nemici si chiamano eroina e cocaina, e lui è solo contro tutti.

La maggior parte della storia si svolge in un appartamento caotico, dove una creatura non dovrebbe mai neanche affacciarsi. Fuori c’è la scuola, con la preoccupazione degli insegnanti, e i servizi sociali che aspettano il momento giusto per strappare Adrian dalle braccia di sua madre. L’opera prima di Goinginger ha il suo punto di forza nel doppio binario narrativo, nell’impossibile che entra nel quotidiano. Le visioni si sovrappongono con le esistenze di chi circonda Adrian, fino all’inevitabile. Un giorno una freccia si trasformerà in un petardo e la bestia sarà proprio seduta sul suo letto.

Il cinema dei perdenti torna a infiammare gli animi, specialmente quando si legge che Adrian ed Helga non sono personaggi di finzione. La critica sociale convince e trasforma The Best of All Worlds in un caso istruttivo e originale. Forse il finale è un po’ edulcorato, ma poco importa, dopo oltre ottanta minuti di grande spessore, senza inutili moralismi. La condanna è implicita e il pensiero corre ben oltre il grande schermo, su tutti quelli che ogni mattina si alzano per andare in prima linea.