Il genio matematico, la sindrome di Asperger, Rambo, il thriller finanziario, l’action, il dramma familiare. Chi più ne ha, più ne metta.

Non si può dire che manchino le idee agli sceneggiatori di The Accountant, fossero anche idee di altri, pescate a vario titolo dall’universo dello storytelling hollywoodiano (manca giusto l’horror e lo sci-fi).

Quel che non si trova semmai nel "nuovo" - nel senso di ultimo - film di Gavin O. Connor è un progetto d’insieme, l’intenzione di comunicare qualcosa che non sia un caotico ensamble di piste narrative. Se c’è un modello a cui The Accountant si rifà è il Tube con i suoi splendidi mash-up dove frames, voci e porzioni d’immaginario convivono naturalmente.

Il connettore qui è Ben Affleck, capace di passare dalla regia alla recitazione, dal cinema indie a quello più commerciale, da Fincher a Batman, come se nulla fosse. Niente di più logico dunque che tocchi a lui incarnare tutte le maschere del film, mantenendo sempre un impenetrabile e monolitica facciata. Al suo fianco Anne Kendrick se la gioca, J. K. Simmons sembra invece finito lì per caso.

Il bello è che, se poco vi importa della credibilità, ci si diverte pure. Se non altro involontariamente.