Nel parlatorio di un carcere, un lui (Fabrizio Rongione) e una lei (Barbora Bobulova) ripercorrono la loro vita giocando a Scarabeo. Da quando, bambini, si scambiarono in pegno una tartaruga, fino all'epilogo della loro unione: un'esistenza trascorsa in attesa dell'altro, fatta di incontri casuali e progressive perdite, ora sospesa sull'intreccio che si viene a formare dalle parole del gioco da tavolo.
Scritto e diretto dall'esordiente Stefano Pasetto, Tartarughe sul dorso si snoda attraverso le ossessioni della memoria, l'impossibilità di dimenticare. Una nuca di donna quale traguardo dei sensi e una visione/presenza sul mondo che non può prescindere dal ricordo, per una pellicola raggelante e inesorabile come la bora. Proprio le suggestioni derivanti da una Trieste splendidamente filmata (soprattutto grazie al buon lavoro del direttore della fotografia, Paolo Bravi) imprimono al racconto la forza necessaria per esprimersi: seppur non particolarmente riuscito nei dialoghi e un tantino forzato nell'interpretazione di Rongione - impegnato nel difficile compito di dare corpo ad un personaggio al tempo stesso buono e violento, ribelle e indefinito - il lavoro di Pasetto merita comunque di non passare inosservato, convincendo per la struttura narrativa volutamente aperta e sfumata. Forse realizzato più con la testa che con il cuore, Tartarughe sul dorso - metafora con cui si vuole indicare la necessità dell'aiuto altrui per riportarsi su una prospettiva perduta - si bea dell'ennesima, convincente prova di Barbora Bobulova - recentemente premiata con il David per Cuore Sacro - meno bella ma più affascinante del solito.