Una città obliqua, dai colori surreali, assolutamente indefinibile, se non fosse New York perché ci viene detto. Molte menti oblique, a rincorrersi per strade e palazzi, a trasbordare materiale mnemonico dall'una all'altra per confondersi e sdoppiarsi. Stay porta un perfetto sottotitolo: Nel labirinto della mente. Che è poi il labirinto dell'esistenza, percorso accidentato e spesso accidentale che conduce dritto agli istanti ultimi, decisivi e definitivi. Marc Forster lascia le sponde del "sogno per la vita", la vicenda di Peter Pan, per addentrarsi nell'inospitale "incubo per la morte": Sam è uno psichiatra che precipita nella follia, quella che determina le scelte irrazionali e le visioni profetiche del suo paziente, Henry. Il primo è Ewan McGregor, il secondo Ryan Gosling: duettano, si aggrediscono e rincorrono attraverso porte rigorosamente verdi, scale rigorosamente a chiocciola, liquidi che sono metafora di un fluire inesorabile. Non è una visione lineare e facile, perché non ci sono leggi del tempo e dello spazio in questa metropoli astratta e psichedelica. La realtà come esperienza al limite dell'ignoto. Esperienza che porta medico e paziente a sovvertire ogni logica razionale, mentre soltanto al termine si scopre che tra la vita e la morte lo spazio non è davvero quello che sembra o si crede. Teoria bizzarra per un film velleitario.