Dimenticate Rogue One. Almeno per queste due ore e mezza. E ritornate con la mente al finale del Risveglio della forza, con la prescelta Rey che – finalmente – rintraccia Luke Skywalker, esule volontario da trent’anni. Siamo di nuovo nel territorio della saga madre, ci sarà tempo per entrare davvero (con il cuore e con la mente) nell’universo degli spin-off starwarsiani. E siamo di nuovo alle prese con il conflitto – quello tra la Forza e il suo lato oscuro – che muove questo straordinario franchise da ormai 40 anni.

Rian Johnson (Looper) – che quando George Lucas sorprese il mondo con Guerre stellari aveva appena 4 anni – prende (momentaneamente, visto che il prossimo capitolo tornerà a essere diretto da J. J. Abrams) il timone della nuova trilogia e dirige uno degli episodi forse più coraggiosi e spartiacque: fermo restando il gusto per una spettacolarità action che lo stesso Abrams aveva contribuito ad esaltare nel precedente Risveglio della forza, stavolta sembra che il peso della nostalgia e della sacra devozione al materiale primigenio riesca ad alleggerirsi in favore di una nuova speranza, data dalla volontà di provare a rielaborare un’epica che dire indipendente è forse troppo, ma comunque autosufficiente per garantire la piena affermazione di questo nuovo corso.

È questo, più di altri, l’elemento che mancava nel precedente Episodio VII e che invece, stavolta, anche grazie al necessario sviluppo del racconto (che lì veniva semplicemente introdotto) trova la sua miglior ragion d’essere: Gli ultimi Jedi costringe la Resistenza a tenere botta in una perpetua fuga dall’ira distruttrice del Primo Ordine e, parallelamente, esalta la profondità del doppio confronto tra Rey (Daisy Ridley) e il restio Skywalker (Mark Hamill), da un lato, e tra Rey e il conflittuale Kylo Ren/Ben Solo (Adam Driver), dall'altro.

"Bisogna far morire il passato. Uccidilo, se necessario, per diventare ciò che devi". La chiave del film – e della nuova trilogia – è qui, nella sfumatura di una presa di posizione (non solo narrativa, ma ideologica) e di una guerra psicologica in cui la Forza e il lato oscuro tentano di spostare gli equilibri: la verità, diceva il saggio, è sempre nel mezzo. Ma qual è la verità nel passato di Ben Solo? Dove risiede il fallimento del maestro Jedi Skywalker? E chi sono, davvero, i genitori di Rey, mercante di rottami “venuta dal nulla”?

 

Il sapere si può tramandare anche senza l’ausilio di polverosi e noiosi testi sacri (God Save il Gran Maestro Yoda…), i padri – giusti o sbagliati che siano – prima o poi dovranno farsi da parte, Leader Supremi o Jedi che siano.

Questo Episodio VIII (a cui non manca il giusto tocco di umorismo e che riesce ad introdurre con disinvoltura due nuovi characters come il ladruncolo truffaldino interpretato da Benicio Del Toro e l’Ammiraglio Holdo interpretato da Laura Dern) concede ai suoi personaggi il lusso di qualche verità in più rispetto al recente passato, ma riesce allo stesso tempo a convincerci che forse non tutto è andato veramente così.

È una questione di equilibrio, in fondo, con lo stallo tra Bene e Male in cui l’arma del contendere rimane a galleggiare, magneticamente, tra i poli opposti della Forza. E all’orizzonte, prima di un ultimo respiro e dopo il fugace ritrovarsi dei fratelli Luke e Leia (Carrie Fisher, che Dio l’abbia in gloria), tornano a campeggiare i due soli di Tatooine.

È l’alba di una nuova era, con la scintilla della speranza a garantire la sopravvivenza a quel che resta della Resistenza – dal pilota Poe Dameron (Oscar Isaacs) al già disertore del Primo Ordine Finn (John Boyega), al sempiterno Chewbacca e al droide BB-8 – e, ancora una volta, a rimandarci al 2019 per l’appuntamento con il nuovo episodio. E per ritrovarci, di nuovo, in una Galassia lontana lontana.