"Il terrorismo è la scusa. Quello in atto è un programma per far sì che gli Stati Uniti abbiano il controllo economico e sociale dell'intero pianeta". Dopo il doc premio Oscar Citizenfour di Laura Poitras, grandissimo esempio di cinema verità in grado di immortalare in tempo reale l'esplosione di uno tra gli scoop mondiali più importanti dell'ultimo decennio, Oliver Stone ha deciso di portare sul grande schermo non "solo" il Datagate, ma l'intera storia di Edward Snowden, l'uomo responsabile di quella che è stata definita "la più grande violazione dei sistemi di sicurezza nella storia dei servizi segreti americani".

Snowden riporta il regista di Platoon e JFK a maneggiare tematiche scottanti attraverso un cinema che sia alla portata di grandi audience: il film, naturalmente "occupato" nella sua interezza dalla presenza del suo protagonista, un ottimo Joseph Gordon-Levitt, non smette mai di concedersi allo spettacolo (anche grazie alla fotografia di Anthony Dod Mantle, ad un ottimo montaggio, di Alex Marquez e Lee Percy, e alle musiche di Craig Armstrong e Adam Peters) ma, allo stesso tempo, fa di tutto per rimarcare i vari passaggi della carriera di Snowden e la conseguente deriva dei programmi di sorveglianza di massa perpetrati dalla NSA (l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana). Lasciando che l'andirivieni temporale tra il racconto dei fatti e i fatti stessi esploda in maniera dirompente. Facendo sì che l'impianto thrilling della vicenda resti sempre in bilico tra il freddo calcolo informatico e il controverso aspetto umano.

Il film parte proprio dal 2013, quando Snowden - nascosto in un hotel di Hong Kong - decide di incontrare i giornalisti Glenn Greenwald ed Ewen MacAskill, e la regista Laura Poitras, allo scopo di rivelare i giganteschi programmi di sorveglianza informatica elaborati dal governo degli Stati Uniti. Consulente esperto di informatica, legato da un impegno di massima segretezza, Ed ha scoperto che una montagna virtuale di dati viene registrata tracciando ogni forma di comunicazione digitale, non solo relativa a governi stranieri e a potenziali gruppi di terroristi, ma anche a quella di normali cittadini americani. Disilluso rispetto al suo lavoro nel mondo dell'Intelligence, Snowden raccoglie centinaia di migliaia di documenti segreti per dimostrare la portata della violazione dei diritti in atto. Lasciando la donna che ama, Lindsay Milis, Ed trova il coraggio di agire spinto dai principi in cui crede.

Eroe dei nostri tempi, e Oliver Stone non ha difficoltà a dipingerlo come tale, Snowden ci costringe a riflettere su quale sia il confine tra il garantire "sicurezza" e il violare la libertà dell'individuo. Ma attenzione, sembra volerci ricordare il film attraverso gli ottimi inserti relativi ai rapporti lavorativi (e umani) tra Ed e i suoi colleghi e/o superiori alla CIA (su tutti il Corbin O'Brian interpretato da Rhys Ifans): qui non si tratta semplicemente di sentire minacciata la sacra inviolabità della nostra privacy, ma incominciare a riflettere su quali saranno (quali siano) le guerre "reali" che agli Stati Uniti interesserà combattere. Perché "l'Iraq tra vent'anni sarà un buco nero di cui non fregherà più nulla a nessuno, mentre la vera minaccia sarà rappresentata - a livello informatico - da Cina, Russia e Iran".

Il patriota, traditore, “whistleblower” Edward Snowden ci ha messo in guardia. E Oliver Stone non fa molto per tranquillizzarci: "Basta che al potere salga la persona sbagliata, disposta a premere quell'interruttore. E la dittatura chiavi in mano è servita", fa dire al suo protagonista. E la mente corre a Donald Trump, salvo poi scoprire, ascoltando lo stesso Oliver Stone, che noi europei siamo "sconcertati da Trump, che non ce la può fare, ma l’alternativa è la Clinton, che rappresenta il sistema Usa e la mentalità americana, quella del ‘o con noi o contro di noi’. Con lei al comando la situazione sarà più dura, ostile e militarista rispetto a Obama”.

Come la metti la metti, siamo rovinati.