Nel corso degli ultimi vent’anni l’horror ha subito un preoccupante svuotamento del contenuto. Quello che una volta era specchio, spesso geniale e meravigliosamente delirante, della società, è adesso solo un veicolo per sussulti a buon mercato ed estremismi per nerd presuntuosi. Poltergeist, e il suo remake, ne sono l’ennesimo lampante esempio.

Steven Spielberg nel 1982 affidò la regia di questa storia di fantasmi a Tobe Hooper, innovatore del genere negli anni Settanta con Non aprite quella porta, film che inaugura l’era degli slasher movie e che al contempo era un manifesto politico dell’America di quegli anni. Esattamente come Poltergeist, potentissimo attacco all’amministrazione Reagan e all’annichilimento nei confronti della classe media, bersaglio favorito della Casa Bianca che usava il mezzo televisivo come strumento di assuefazione di massa.

Gil Kenan ci prova timidamente in questo remake, con il capofamiglia che ha perso il lavoro a causa della crisi e casa comprata a poco per il crollo del mercato, ma la buona volontà non basta. Il moderno Poltergeist fa paura soprattutto per i buchi di sceneggiatura e gli effetti digitali posticci. Tutto il resto, come diceva Califano, è noia.