L’esordio alla regia di Hadas Ben Aroya, anche produttore e sceneggiatore di Anashim Shehem Lo Ani (People That Are Not Me), descrive un Israele lontano dai conflitti, dove i giovani possono vivere le loro pulsioni senza temere attentati o condanne. La dimensione onirica del recente Sognare è vivere di Natalie Portman appartiene a un altro tempo, come anche le difficoltà culturali raccontate ne La sposa siriana di Eran Riklis.

La Tel Aviv di Ben Aroya è un luogo pacifico, apparentemente senza memoria, che ha consegnato alla storia l’assassinio del Primo ministro Yitzhak Rabin, raccontato nel riuscito Rabin, The Last day di Amos Gitai. Non c’è traccia di un passato anche recente, rimane il presente di una gioventù bruciata, alla disperata ricerca del piacere, che non riesce a comunicare senza la propria fisicità.

Joy ha venticinque anni ed è appena uscita da una relazione burrascosa. Non sapremo mai perchè il suo ex ragazzo non voglia neanche più parlarle, ma lei non riesce a cancellarlo: lo chiama, lo tempesta di messaggi e lui la ignora. Disperata, Joy riversa il suo amore su qualunque uomo incontri, per portarselo a letto e dimenticare. La macchina da presa la bracca in lunghi piani sequenza, per sottolineare il suo spirito perso e l’incapacità di ricominciare. Prima seduce un suo amico, poi un possibile coinquilino, ma con entrambi il sesso non funziona.

Il regista costruisce il film sull’incapacità di comprendersi e su dialoghi apparentemente privi di senso. È il suo modo di farci sentire la tragicità di una generazione che affoga in una insistita intimità fisica, senza che oltre ai corpi si stabilisca un vero contatto. Non conoscono nemmeno quel senso di ribellione che si prova quasi naturalmente alla loro età. I protagonisti si trascinano di giorno in giorno incapaci di prendere in mano le proprie vite e questo segna la sconfitta più dolorosa.

Ben Aroya dipinge un quadro tragico di quella che i giornali definiscono generazione Y, cerca di trasmettere con forte partecipazione la loro estrema solitudine. La cinepresa indugia su gesti e situazioni al limite del sopportabile per un occhio che si ferma all’esteriorità delle cose. Spesso Joy si mostra nuda e la sua nudità la rende indifesa e vulnerabile. Il ritratto della giovinezza si tinge di colori inquietanti. Il male di vivere fa paura a ogni età, ma quando lo si ha dentro a vent’anni allora si è colpiti al cuore. Sembra che non ci siano più speranze e che il domani sia un orizzonte vuoto.

Adas Ben Aroya debutta con una storia forte e sincera, piena di amore per la sua giovane eroina. Il film, prima di arrivare qui a Pesaro, è stato presentato al Festival di Locarno. Ci piacerebbe che avesse una distribuzione sui nostri schermi magari, una volta tanto, in versione originale con sottotitoli.