Radio Days di Woody Allen fanno parte di una realtà lontana ormai anni luce dal nostro presente social-digitale. E anche dall’orizzonte filmico, a quanto sembra, almeno a giudicare dalla visione di Onde Road di Massimo Ivan Falsetta, curioso canovaccio dedicato alla stagione delle radio libere in Italia, fiorite sul finire degli anni settanta. Sullo stesso soggetto, com’è noto, si era già cimentato anche il Luciano nazionale con il suo apprezzabile Radiofreccia.

Di fronte al nostro Onde Road, invece, c’è da rimanere perplessi: indeciso se imbroccare un taglio da docu-fiction ucronica o se privilegiare le ambizioni da scanzonata narrazione pop-postmoderna, un plot sgangherato ci conduce in una Calabria grottesca dove l’agente Barbara, in forza alla Censura Futuribile, è incaricata di localizzare una misteriosa emittente che interrompe le frequenze di ogni trasmissione radiofonica a beneficio delle radio libere dell’età dell’oro.

La prospettiva di essere inondati, h24, dalle canzoni di Antonello Venditti potrebbe non essere esaltante, ma è la regia a fare di tutto per peggiorare la situazione, a cominciare dal montaggio frammentario e impreciso (forse a emulare il modello della rotation radiofonica, come suggerito dai titoli di coda?), per proseguire con l’assoluta gratuità della messa in scena e della prestazione insoddisfacente degli attori.

La presenza di alcuni protagonisti di quel tempo perduto (fra gli altri Awanagana, storico speaker di Radio Montecarlo, e il disc jockey Federico l’Olandese Volante), non riesce, nonostante tutto, a rendere questa recherche meno indigesta.

L’omaggio all’epoca-epica delle radio libere finisce così col generare fin troppe interferenze, innescando un pasticcio sonoro somigliante al balbettio infantile cui alludevano i Queen di Radio Ga Ga più ancora che a un partecipe tentativo di scavo nel passato.