L’Italia della crisi e della disoccupazione arriva puntuale sullo schermo a cura dei fratelli Vanzina, i nostri stakanovisti della commedia a buon mercato, che sciorinano il solito campionario aggiornato di vittime e mostri del Belpaese. C’è il lavoratore oppresso dai “padroni”, il quale però non si piega, e insegue la sua rivincita cimentandosi in macchinose truffe, che scendono dritte da film dello stampo di American Hustle. Ma non aspettiamoci il carisma di Christian Bale o il fascino di Bradley Cooper, perché i nostri divi sono Vincenzo Salemme e Massimo Ghini.

Salemme veste i panni di Antonio, il titolare di un’impresa di pulizie che ha perso il suo appalto più importante, e Ghini è il faccendiere di turno. Con i suoi intrallazzi sta mandando in rovina una persona onesta, ma il colpo di scena è dietro l’angolo: l’uomo apparentemente innocuo sa aspettare, e troverà la sua vendetta in quel di Zurigo, dove le banche svizzere nascondono i soldi dei riccastri.

Carlo Vanzina è ormai da decenni il portabandiera della commedia che un tempo si chiamava “all’italiana” e aveva ben altra spina dorsale. Figlio del grande (e ai suoi tempi sottovalutato) Steno, con il fratello Enrico alla sceneggiatura, ha firmato alcuni dei maggiori successi commerciali degli anni ’80 e ’90, e ha sulla coscienza il merito (o la calamità, secondo i punti di vista…) dei cinepanettoni. I vari “Natale a” hanno spinto il pubblico, partendo da amene località dolomitiche, verso lidi sempre più esotici, dove i nostri compatrioti in terra straniera continuano ancora oggi a esportare senza vergogna i loro vizi travestiti da virtù. Ma questa volta non siamo a Miami o a Dubai, e non è neanche Natale: siamo in Italia, dove ogni regola viene aggirata come sempre da chi si crede più furbo, o lo è davvero e se ne vanta. Alcuni (pochi) finiscono in gattabuia. Altri la fanno franca, e le vittime di turno possono solo aspettare la prossima, immancabile fregatura.

Antonio/Salemme non è un uomo che si dispera, e tra una battuta e uno sberleffo, s’improvvisa maggiordomo a casa dell’acerrimo nemico. Questo è l’inizio di una serie di sketch ripetitivi, che non sempre fanno ridere. Vedere il protagonista che si scaccola nella tazzina del caffè può far cascare le braccia, e quando un napoletano s’improvvisa “burino” diventa imbarazzante. Va un po’ meglio col dialetto piemontese di Mauro Mattioli, “romano de Roma”, che azzecca a sorpresa il tono che fu di Macario.

Non si ruba a casa dei ladri aggiunge poco o niente alla sterminata filmografia dei Vanzina. Ma forse è una pretesa ingenua da parte nostra che siano loro a rinverdire (tanto per restare in famiglia) i fasti di Guardie e ladri o di Piccola posta o di Febbre da cavallo. Peccato, perché i fratelli avrebbero, oltre al consolidato mestiere, intelligenza e spirito da vendere, oltre a un indubbio fiuto per l’aria che tira. Sono bravi ma, per usare un termine, scolastico, non s’impegnano, e tirano via. Vogliamo trovare una nota positiva in questo film? Segna il ritorno sul grande schermo di Manuela Arcuri, che mancava dal 2003. Poteva farne a meno? Allora vabbe’, non ci resta che piangere.