Un film gioiosamente vivo. La vita, attiva, e le opere, stupefacenti, di James Mallord William Turner (1775, Covent Garden, Londra – 1851, Chelsea, Londra). Mike Leigh racconta e si confronta, ritrae e ammira, inventa e fa suo il grandissimo pittore inglese. Le ultime parole di Turner sono “The sun is God” e la sua pittura è luce. Turner combatte con la luce, la stana, la sfarina, le dà colore e biancore. Combatte con la tela, ci soffia su il colore, la strofina con un panno, ci sputa sopra per sciogliere l'impasto, la colpisce e la pesta con i pennelli. Delle tele fa mari e cieli, disegna naufragi, dipinge navi treni rimorchiatori, nasconde nel quadro l'invisibile elefante di Annibale che passa le Alpi. Si comincia nei Paesi Bassi dei mulini a vento, dei canali e delle donne con quei cappelli con le ali: Turner è lì con il suo quaderno di schizzi. Poi i titoli di testa: magnifici, liquidi, svarianti. E subito una musica ardente e novecentesca, musica che farà da controcanto a tutte le scene del film, musica turneriana, antiaccademica, sciolta da vincoli. Poi due momenti paralleli, uno vicino all'altro, che indicano un percorso che si snoderà lungo tutto il film. La domestica di casa Turner compra una testa di maiale: i due Turner, padre e figlio, sono golosi di quella carne. Scena a: il maiale viene rasato per togliergli i pelacci dal muso. Scena b: anche Turner viene rasato come il maiale, come un maiale. E via via che il film va avanti Turner si fa sempre più maiale, grugnisce, perde quasi il linguaggio umano, si esprime a gorgoglii, bofonchia, il suo parlato fa la fine del reale sulla tela, si sbriciola. L'interprete, Timothy Spall, è un Turner fisico maialesco umanissimo ribelle ricercatore indomito grosso saporito donnaiolo ruminante gorgogliante.
Il film ha momenti diremmo istituzionali in cui c'è il mondo artistico di allora: pittori di corte, pittori banali, pittori senza un penny, una principessa di casa reale che definisce un quadro di Turner “a dirty yellow mess”. E quanto Turner apprezzi quel mondo è detto quando sfregia un quadro del mondano e ammirato Constable con una spatolata di rosso sul mare, macchia rossa che, con un secondo, saporito intervento, Turner trasforma in una boa! Accanto a queste zone con Turner che si muove dentro il mondo dell'ufficialità artistica per farsene beffe, il film si apre sempre di più a quell'altro mondo che è quello del Turner vivo e vegeto, fin troppo vivo, fin troppo vegeto. E soprattutto vicino al dolore di ognuno. Qui gli incontri sono tanti e memorabili. Quando Turner ascolta incantato la pianista che suona la “Patetica” di Beethoven. Quando canta con voce incerta e commossa un'aria di Purcell da “Dido and Aeneas”: "Remember me, but ah! forget my fate”. Quando incontra la signora Booth e il marito, ex capitano pentito e sgomento di una nave negriera. Quando vive l'amore infinito, un “uxorious love”!, con la vedova Booth che di profilo – dice lui – sembra Afrodite! Quando partecipa a un esperimento di fisica con la luce che passa nel prisma e diventa arcobaleno. Quando tiene una conferenza sulla teoria dei colori. Quando disegna la giovane prostituta sul letto e prova un infinito dolore che tenta – invano! – di riprodurre sulla tela. Quando via via scopre il dolore degli uomini e della storia e ne rimane inghiottito. Quando si fa legare alla testa dell'albero maestro in mezzo a una tempesta. Quando dipinge quadri di naufragi, senza spettatori, con i cadaveri degli schiavi buttati in mare. Quando si fa fotografare e il fotografo canticchia “Va' pensiero”! Quando vede il primo treno passargli davanti e lui fa quel magnifico quadro con il treno che sbuffa e intorno tutto è cielo. Quando morente si alza dal letto e esce di casa per tentare di disegnare ancora una volta il dolore nel corpo di una ragazza annegata. Film senza macchia e senza paura, domestico ed epico, lirico e magico, carnale, tragico, comico. Film che ricorda e fa il paio con l'altra, ammirevole e poco ammirata, escursione di Leigh nel passato, quel Topsy-Turvy (1999) dedicato alla coppia di musicisti Gilbert e Sullivan. Film dickensiano con vedove e mogli e figlie abbandonate e giovani defunte e poveri artisti. Film eccentrico e vagabondo. Primitivo ed elegante. Triste come Turner piangente davanti alla giovane prostituta e a Didone. Allegro come Turner che sbeffeggia il quadro di Constable o mette in riga quel damerino di Ruskin. Tra così tanti regali, basterebbe a farne un gran film la scena di Turner e i suoi in barca che ammirano il “Fighting Temeraire”, la nave che combatté a Trafalgar, trascinata dal rimorchiatore per essere demolita. Un memorabile “marine piece” cinematografico e turneriano.