Avete amato Bill Murray in Ricomincio da capo? Allora correte a vedere Lost in Translation - L'amore tradotto. Lo potrete ammirare in uno dei ruoli più scoppiettanti e intelligenti in cui si sia mai provato. Non fate però l'errore di pensare che il film valga il biglietto solo per la folgorante presenza di Murray. Lost in Translation brilla anche per un altro talento, quello di Sofia Coppola, la quale chiarisce una volta per tutte come il cinema per lei non rappresenti affatto il capriccio di una bambina viziata. Eppure il rischio di un passo falso esisteva, giacché l'autrice si è cimentata in una delle storie più abusate che sia lecito immaginare. La vicenda, cioè, di un cinquantenne in crisi che, lontano da moglie e figli per motivi di lavoro, incontra una ragazza temporaneamente lasciata sola da un marito troppo preso dalla carriera. Logica anticamera di un breve incontro, ma attenti. Sofia Coppola non è regista da cadere facilmente nelle trappole del banale. Sotto la sua direzione la materia si rivitalizza e prende forma in mille dettagli, in sfumature caratteriali, nella lieve rappresentazione di momenti in cui i due potenziali amanti si perdono per rinchiudersi in una sofferta eppur sana solitudine. Sfondo della love story, una Tokyo affascinante quanto misteriosa, elevata a emblema delle culture più diverse con le quali noi occidentali facciamo sempre fatica a confrontarci. Bob Harris, noto attore di action movie nel momento critico del passaggio a un'età poco adatta a inseguimenti e sparatorie, deve dar vita alla campagna pubblicitaria di una famosa marca di whisky. La situazione offre il destro a Murray per innumerevoli gag all'apparenza basate sull'incomprensione linguistica, in realtà sulla difficoltà ad adeguarsi a una società altra e a capirne i modi e le espressioni. Mentre Charlotte, la sensibile Scarlett Johansson, mostra di trovarsi assai bene con gli amici giapponesi, compagni di scorribande notturne e solenni ubriacature in cui anche Bob finisce per essere coinvolto. Un incontro, il loro, inevitabile, con in più il sapore amaro delle storie impossibili ma non per questo meno importanti. E la Coppola ben fotografa la nascita di questo amore dai tratti adolescenziali, dal quale ogni fisicità è bandita per far posto a scambi ben più profondi. Una visione positiva che cancella le atmosfere ferali di Il giardino delle vergini suicide e al contempo dimostra come la giovane cineasta stia felicemente costruendo un personale percorso artistico. Perché Sofia sarà anche privilegiata, con un produttore come il padre Francis Ford e il marito Spike Jonze a sostenerla, ma il talento visivo, le sottigliezze di sceneggiatura e la sensibilità nella regia sono tutti suoi e regalano a ogni fotogramma un'impronta d'autore.