“Non è una storia di malattia, ma una storia d'amore”. Parola di Eddie Redmayne, Stephen Hawking per finzione e Golden Globe non per caso: bisogna credergli, perché il regista James Marsh (Man on Wire e altre belle cose) forse non è mai stato così ordinato, scolastico, omologato, ma qualche rovesciamento di senso, qualche eterodossia la sa ancora piazzare, pur nel recinto della narrazione per tutti. E, non c'è bisogno nemmeno di dirlo, che meravigliosa direzione d'attori: Redmayne metamorifico ed empaticissimo, ma pure la splendida Felicity Jones nei panni della moglie Jane Wilde.

Insomma, c'è tutto quel che fa il miglior cinema inglese: scuola, tradizione, serietà. Parliamo, si capisce, de La teoria del tutto (The Theory of Everything) sceneggiato da Anthony McCarten a partire dal libro di memorie Travelling to Infinity: My Life with Stephen di Jane Wilde Hawking.

Un dramma essenzialmente romantico, che mette al centro la relazione con l'ex marito e passa dalla diagnosi della Sla ai successi scientifici del celeberrimo fisico teorico. Nel cast anche Charlie Cox, Emily Watson, Simon McBurney e David Thewlis, non ha nulla di straordinario, ma è ordinariamente fatto molto bene: sì, in Italia l'avremmo fallito.