Sophie Magdalena Scholl fu una delle sparute eroine della Resistenza tedesca al nazismo. Marc Rothemund si accosta alla ventunenne studentessa all'università di Monaco di Baviera in modo sensibilmente differente rispetto ai registi che l'hanno preceduto negli anni '80 - Michael Verhoeven (Die Weisse Rose) e Percy Adlon (Fünf letzte Tage). Innanzitutto, dispone di documenti inaccessibili due decenni fa perché seppelliti negli archivi dell'ex Germania Est; inoltre, opta per una rigida selezione cronologica, concentrandosi sugli ultimi sei giorni della vita di Sophie Scholl. La rosa bianca - candidato tedesco agli Oscar e premiato a Berlino per la miglior regia e la miglior attrice protagonista, Julia Jentsch - presuppone si conosca la storia del gruppo studentesco omonimo che con metodi pacifici si oppose al nazionalsocialismo dal giugno 1942 al febbraio 1943. Il gruppo era formato da cinque studenti: Hans Scholl, sua sorella Sophie, Cristoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, a cui si unì il professor Kurt Huber che stese gli ultimi due dei sei volantini distribuiti per risvegliare le coscienze del popolo tedesco, obnubilate dalla droga assassina dell'ideologia hitleriana. I fratelli Scholl e Probst furono ghigliottinati il 17 febbraio 1943 dopo un processo sommario. Schermo nero, il tonfo delle teste staccate dal collo, poi fotogrammi di repertorio che ritraggono Sophie mentre nuota con gli amici e beve vino. Prima una partitura ideologica in crescendo, dalla convinzione privata alla manifestazione pubblica del dissenso della Scholl, fino alla morte affrontata quale novella Giovanna d'Arco. Forma povera, umanità sommessa, vitalità e dolore relegati nel fuoricampo, prospettiva determinista: una Rosa forse troppo bianca.