Ann ha 23 anni, due bimbe piccole, lavora di notte facendo le pulizie all'università, vive con il marito in una roulotte parcheggiata nel giardino della madre. Suo padre è in carcere. Eppure è contenta, innamorata, prende la vita così come le è stata data. Solamente quando le diagnosticano un male incurabile riesce a guardare il mondo e la sua esistenza con altri occhi. La mia vita senza me, il nuovo film della catalana Isabel Coixet (Le cose che non ti ho mai detto, '96) - con Sarah Polley, Amanda Plumer, Scott Speedman, Leonor Watling, Deborah Harry, Mark Ruffalo e un cammeo di Maria De Medeiros - non è un film sulla morte, è un inno alla vita. Quando Ann viene a sapere della sua malattia, con grande fermezza, si siede al tavolino di un bar e su un quaderno scrive tutte le cose che deve fare prima di morire. Ed è proprio dalla scrittura dei suoi appunti che scopre quante cose, anche in apparenza semplici e normali, non hai mai fatto e che ora deve necessariamente mettere in pratica, in soli due mesi. Un risveglio dal torpore della vita. Scritto (dalla stessa regista) per arrivare dritto al cuore, La mia vita senza me "sfoglia" il diario delle emozioni portando lo spettatore dentro i personaggi, grazie anche all'uso della camera a spalla. Un film la cui drammaticità rimane sospesa tra la vita e la non vita in un gioco di specchi, in cui l'immagine riflessa può essere quella realistica o quella sognata, perché non è importante quale sia la realtà ma è fondamentale viverla fino in fondo. La decisione di Ann di non rivelare a nessuno la sua condizione è un atto estremo di amore nei confronti dei suoi cari, ma è anche un modo per attraversare la sua esistenza senza condizionamenti e, per una volta, vivere senza morire.