Misteri di un'industria istituzionalmente in crisi chiamata "cinema italiano". Uno dei lavori più convincenti e intensi del 2005, La guerra di Mario di Antonio Capuano, viene ignorato dalla Mostra di Venezia e quindi costretto a riparare in Svizzera, al festival di Locarno, dove la giuria non prende neppure in considerazione una Valeria Golino aspirante mamma perfetta per laconicità. Risultato: il film approda sui nostri schermi solo sei mesi dopo. Peccato. La storia del bambino difficile e della benestante coppia di quarantenni non sposati cui viene affidato temporaneamente è infatti la prova più riuscita del regista vesuviano dai tempi del folgorante esordio con Vito e gli altri. Nella luce netta, realistica di Luca Bigazzi, fa testo l'irriducibilità dell'infanzia e della marginalità sociale alla comprensione borghese delle cose e persino all'amorevole accoglienza. Il paradigma della tolleranza e dell'inclusione qui appare frusto. Capuano non enfatizza e non edulcora, semplicemente racconta, scava nei volti, mette in scena i silenzi e le fantasie. Napoli, oggi: l'affetto dei nuovi genitori non può bastare a Mario, 9 anni, un piccolo straniero nella bella dimora di Giulia e Sandro, che preferisce proiettarsi verso il mondo immaginario di Shad-sky, compagno di giochi inventato pur di sconfiggere la solitudine mitigata da un cagnolino. Il confronto a tre, serrato, scompagina copioni esistenziali e suscita inquietudini. Se la madre putativa, una docente universitaria, sembra rinascere nella femminilità, il suo compagno giornalista televisivo è più che scettico, talora ostile, anche se non cattivo. Sarà crisi. "Ho cercato un film frugale, disadorno", confida Capuano. Il protagonista è Marco Grieco, il "padre" Andrea Renzi, nel cast la psicologa Anita Caprioli e la madre naturale Rosaria De Cicco. Producono Domenico Procacci e Nicola Giuliano, l'uno affermato, l'altro emergente (con i film di Sorrentino): per entrambi la stella polare spesso indica il Sud.