Riuscito fumettone noir con patina d'antan. Dopo sette anni d'assenza, Claudio Bisio convince nel suo ritorno al cinema con La cura del Gorilla. Per lui addirittura un doppio ruolo, che ne esalta spessore e matrice teatrale. Come nel romanzo di Sandrone Dazieri a cui è ispirato il film dell'esordiente Carlo A. Sigon, nel Gorilla del titolo albergano fin da piccolo due opposte personalità: una ironica e bonaria, l'altra fredda e calcolatrice. Niente trasformazioni alla Dr. Jekyll e Mr. Hyde però. La metamorfosi è quasi tutta interiore, le sfumature impercettibili: un sopracciglio inarcato, la profondità dello sguardo. Tanto basta a Bisio per passare da Sandrone al Socio: due facce dello stesso taciturno ragazzone, convertito al lavoro di bodyguard, dopo precedenti da investigatore privato. A lui il compito di scortare Jerry Warden, vecchio attore americano in Italia per la promozione di un videogioco. Lui è Ernest Borgnine: 88 anni di carica e contagioso entusiasmo, qui al primo ruolo in italiano. Esilarante nella sua lingua maccheronica, è irresistibile anche solo a guardarlo: diverte perché si capisce che si diverte. A complicare le cose, una serie di omicidi che porteranno le due anime del Gorilla a scontrarsi per una battagliera operatrice sociale col volto di Stefania Rocca. La vicenda si svolge in un sottobosco criminale popolato da clandestini albanesi morti ammazzati (il ballerino Kladi Klediu di Maria De Filippi), impresari traffichini e piccoli piccoli (Antonio Catania), hacker no-global da centro sociale (Gigio Alberti). Giò Pesce, Faccia di cane, il geco: i nomi parlano di personaggi volutamente a tinte forti. Siamo nel fumetto, però, e l'abile tratteggio spinge la caratterizzazione fino al limite, fermandosi sempre a un passo dalla macchietta. Complici le azzeccate scenografie degli interni e la calibrata fotografia di Federico Masiero, il risultato è un noir dalle atmosfere perennemente notturne e rivestito da una suggestiva patina retrò. Menzione speciale, tra i gregari, a un Gigio Alberti ritrovato. Il pirata telematico Luke sembra riportarlo all'habitat cinematografico d'elezione di Nirvana e dei primi Salvatores. Bravo e umile Sandrone Dazieri, che con Pasquale Plastino ha letteralmente smontato il suo romanzo, per adattarlo alla grammatica cinematografica. Non mancano sbavature e qualche salto narrativo, ma il passato pubblicitario di Carlo A. Sigon si sposa bene coi toni stralunati del film. Mai sopra le righe, sempre eccessivo fino al limite.