Il cinema americano degli ultimi anni ha abbandonato la formula del so white per concentrarsi sulla denuncia, sul razzismo che avvelena l’intera nazione. L’arrivo di Donald Trump nello Studio Ovale ha riportato a galla vecchie intolleranze, gettato sale su antiche ferite mai rimarginate, come la violenza della polizia sulla gente di colore. Kings vorrebbe raccontare i disordini di Los Angeles del 1992, ma non ha la stessa forza di Detroit di Kathryn Bigelow.

Il titolo si ispira a due “King” che hanno significato molto nella lotta per i diritti civili. Il primo è Martin Luther King, che è stato un faro nella notte, il secondo è Rodney King, un tassista afroamericano selvaggiamente pestato dopo un lungo inseguimento. La sua colpa era aver superato il limite di velocità, ma ci fu su di lui un accanimento che andava molto al di là di un’infrazione stradale.

Il film ripropone più volte le vere immagini del processo ai poliziotti, ed è animato da ottime intenzioni. Peccato che non vada fino in fondo con il rigore che la storia meritava. Mentre sarebbe stato interessante vedere cosa succedeva in tribunale, la macchina da presa si concentra su una vicenda privata non proprio significativa.

 

Millie (Halle Berry) è una donna afroamericana, a cui sono stati affidati otto bambini. Insieme giocano alla famiglia felice, anche se non hanno da mangiare e vivono nella zona più povera di Los Angeles. Il loro vicino di casa è Obie (Daniel Craig), l’unico bianco del quartiere, che si comporta come un pazzo scatenato: spara dalla finestra con un fucile a pompa e lancia lavatrici e divani in strada. Ma per Millie si trasforma nel principe azzurro e tra i due nasce un improbabile sodalizio. Durante i disordini sboccia l’amore.

Nonostante i personaggi abbiano un loro spessore drammatico, la coppia manca di verosimiglianza e di empatia, forse perché Halle Berry e Daniel Craig rimandano alla saga di 007. Craig è il James Bond in carica, mentre Berry aveva interpretato la sventola di turno in La morte può attendere. Difficile vederli nei panni di persone comuni afflitte da problemi reali. Ci sono addirittura momenti di involontaria ilarità. Un esempio è il sogno erotico di Millie, in cui Obie piove dal cielo tutto nudo e si avventa su di lei camminando sulle braccia. L’unione dei loro corpi dovrebbe rappresentare la naturale coesistenza tra etnie diverse, in un mondo di violenza e paura, ma utilizza i moduli di una love story strampalata.

La regista Deniz Gamze Ergüven aveva lasciato ben sperare con la sua opera prima Mustang, una vicenda forte, su un gruppo di ragazze turche che finivano segregate in casa per non dare scandalo. Il film aveva ricevuto anche una candidatura all’Oscar. Con Kings sbarca a Hollywood piena di buoni propositi, ma non riesce a trovare il tono giusto. Forse non si impone a sufficienza con i suoi attori e li lascia agire a ruota libera. Che fine hanno fatto le straordinarie protagoniste di Mustang? Hanno scelto di rimanere in Turchia mentre la loro regista inseguiva la gloria negli Stati Uniti.