No, il regista Pete Docter e la Pixar non sono tornati ai livelli eccelsi, demiurgici quasi di Monsters & Co. e Up, eppure dato l’andazzo dell’animazione mondiale, e dell’appannamento della stessa casa di John Lasseter (produttore esecutivo) alloggiata nel regno Disney, si può esultare. Cannes, dove Inside Out è in cartellone fuori competizione, l’ha fatto: applausi scroscianti, quasi liberatori, a fine proiezione dalla stampa, che già aveva plaudito sui titoli di testa i loghi Pixar e Disney.

Inside Out, che arriverà nelle sale italiane a metà settembre, inquadra gli angeli custodi, meglio, le emozioni che governano le nostre vite, le vite degli umani e pure degli animali, a partire già dalla tenerissima età: la piccola Riley è segretamente guidata dalla Gioia, la Tristezza, la Rabbia, la Paura e il Disgusto,  e questi cinque elementi avranno un ruolo fondamentale nel suo difficile trasloco, accompagnata dai genitori, dal Minnesota a San Francisco.

E’ il nostro cervello e - beata speranza? - è la gioia a farla da padrone, ma quanta fatica, quante negoziazioni con Tristezza: nuove pillole emotive da catalogare e immagazzinare ogni giorno, perché la memoria è intesa quale una gigantesca biblioteca che incamera le nostre risposte emotive ai fatti, positivi e negativi, della vita. Ma che succederebbe se Gioia e Tristezza rimanessero isolate dal comando centrale, lasciando la povera Riley nelle mani della Rabbia (più Disgusto e Paura)? Semplice, le piattaforme della Famiglia, del Divertimento e dell’Hockey, lo sport in cui la ragazzina eccelle, rischierebbero di andare in frantumi, anche perché la nuova casa a San Francisco non è proprio dolce casa…

Architettura visuale mutuata e derivata dalle scienze cognitive, ma abbellita secondo canoni figurativi che si direbbero à la Dalì per ragazzi, Inside Out ha qualche battuta e scene fulminante, personaggi uniformemente gradevoli, ma non comparabili nemmeno lontanamente ai Monsters per appeal e potenziale lascito immaginifico, una drammaturgia un po' lenta, una sceneggiatura qui e là stracca, e soprattutto offre probabilmente uno squarcio veritiero sulla nuova vita della Pixar disneyana dopo la crisi: elogio della famiglia, poetica rassicurante e, fin pleonastica, ristrutturazione creativa dall’interno. E’ sì, anche qualche emozione della grandeur che fu. Se non è Up, comunque non è down: basta, e avanza.