Vertiginose inquadrature plongée in apertura e in chiusura sul mare di Mondello, Palermo, estate del 2016. Se chiedete di Mondello a un palermitano doc potreste ricevere, in risposta, un sorrisetto snob e un “no, grazie” sprezzante, ma è ben più probabile che a un palermitano autentico, al solo nome della spiaggia in questione, comincino a luccicare gli occhi per l’emozione e l’orgoglio. Possedere una cabina sui lidi di Mondello, per gran parte dei palermitani, è uno status symbol superato soltanto dalla ventura di possedere una villa, ovviamente sempre a Mondello.

Partendo da questo punto fermo, Giovanni Totaro, palermitano ed ex allievo della Sede Sicilia del Centro Sperimentale di Cinematografia, sede della scuola di Documentario, ha realizzato la sua opera prima. Negli ultimi anni (due titoli per tutti, Fuocoammare e Liberami, vincitore di Orizzonti proprio a Venezia un anno fa), il cinema del reale ha progressivamente affermato l’importanza del proprio ruolo all’interno della cinematografia italiana, l’incisività, la capacità di perforare scorci e pertugi di realtà che il cinema mainstream non vuole o non sa più indagare.

Happy Winter di Totaro procede su questa stessa falsariga, senza però rinunciare a una cifra personale, a una capacità di lettura e di interpretazione della realtà a partire dalla realtà stessa, senza infingimenti e artifici. Le oltre mille cabine della spiaggia di Mondello, la stagione estiva con il suo calore abbacinante e l’ottusità generica dell’atmosfera vacanziera, i personaggi in bilico tra lotta per la sopravvivenza e gigioneggiante vacuità, sono il riflesso grottesco ed esilarante di una collettività - la nostra, quella italiana, di cui Palermo, ancora una volta, è utile metafora, - che ha smarrito se stessa nella mitologia di un benessere che deve essere preservato a ogni costo.

Ed ecco dunque perché, immersi in una luce accecante e dorata, esaltata da una fotografia che consapevolmente oscilla tra suggestioni videoclippare, leziosità vacanziere e seriosità d’autore, personaggi come Tony Serio, aspirante alla carica di consigliere comunale che sfila tra le cabine a caccia di voti tra partite a carte e comizi d’accatto; o come il barista ambulante che cerca di guadagnare il più possibile in previsione dell’inverno, tentando al contempo di sfuggire ai controlli di polizia; o come le tre ormai mature signore che, nell’ossessione dell’abbronzatura, sembrano voler inseguire una giovinezza ormai irrimediabilmente perduta, questi personaggi, per l’appunto, lasciano trapelare un’angoscia divorante da tardo impero, di petroniana (quello del Satyricon) disperazione.

Sotto la patina di spensieratezza e di piatto godimento estivo, si intuiscono irrequietezze, sprazzi di inquietudine: familiare, lavorativa o esistenziale che sia. L’estate è finita, ci si saluta augurando “buon inverno” ai coinquilini di cabina, ci si dà appuntamento all’anno prossimo. La spiaggia si svuota e la camera torna ad alzarsi verso il cielo. E l’anno che verrà?

Fuori Concorso a Venezia 74.