Protagonista di decine di film, controfigura dell'atomica, icona pop e mostro per tutte le stagioni, Godzilla (crasi ango-nipponica di “gorilla” e “balena”) riaffiora dagli abissi dell'inconscio e del cinema in questa seconda e opulenta (budget: 160 milioni $) versione hollywoodiana prodotta dalla Warner, che segue quella copia-in-colla firmata Roland Emmerich (Godzilla,1998).
Sempre di saccheggio si tratta, ma se il kaiju di Emmerich era un clone camuffato di Jurassic Park, quello di Gareth Edwards – dirottato su una megaproduzione dopo l'avvincente esordio con Monsters – è al centro di un progetto filologico più serio, che lo riconnette da un lato alle radici e dall'altro ne rivela le forti le affinità con la cultura americana.
Bisogna sempre ricordare che il primo Gojira di Ishiro Honda (1954) nasceva come risposta del cinema giapponese al successo di King Kong. Due figure che nell'immaginario si sarebbero sovente intrecciate, e che costituiscono un unico archetipo ispirativo per Edwards.
Come la grande scimmia buttata giù dall'Empire State Building, il mega lucertolone preistorico suscita qui più compassione di qualunque essere umano spiaccicato al suolo. E se una volta tanto la cattiveria non è prerogativa della nostra specie, appaltata com'è a due spaventose creature cresciute a bombe H e radioattività (in ogni caso c'entriamo qualcosa), le sorti dell'homo sapiens, martoriato da terremoti, tsunami, esplosioni e da ogni altro fenomeno catastrofico conosciuto, interessano poco.
Non aiutano le repentine uscite di scena di due cavalli di razza come Bryan Cranston e Juliette Binoche né la ribalta affidata a due giovani e, al momento, solo promettenti star come Aaron Taylor-Johnson ed Elizabeth Olson. Nel cast anche Ken Watanabe e Sally Hawkins (!), probabilmente due omonimi.
La storia di per sé è poca cosa (script di Max Borenstein) e il cote familiare più fragile dei grattacieli sbriciolati da Godzilla. Che resta l'unico vero mattatore del film.
Per molti, ma non per tutti, sarà giusto così.