Non è ficton e non è neanche documentario, Gente di Roma di Ettore Scola. Si tratta invece di un curioso esperimento a cavallo tra l'una e l'altro. Un "Giornalino romano", come avrebbe all'inizio dovuto chiamarsi, con cui il regista omaggia la Capitale, ritraendone bonariamente vizi e virtù. "E' una polenta scodellata" cita l'ex sindaco Argan, "una città ricca di storia e di cultura, le cui stratificazioni millenarie hanno lasciato contrastanti sedimentazioni nella coscienza popolare". Da una parte supponente e tronfia, perché consapevole di essere l'ombelico del mondo. Dall'altra aperta e ricettiva, storicamente avvezza ad accogliere l'altro, integrandolo nell'unico vero caso di "melting pot" all'italiana. Ed ecco quindi un mosaico di volti e situazioni, che Scola insegue in digitale negli angoli più remoti della città. Lontano dalla Roma delle cartoline, sale invece sugli autobus, si ferma ai semafori, entra nei ristoranti. E così, passo passo, disegna una geografia umana e urbana, fatta di piccole situazioni al limite del grottesco. Una tra le tante, il litigio tra un cuoco di colore e un cameriere italiano. Ma non certo per il colore della pelle. La vera discriminante è la fede calcistica, e l'assunto esplicitato da Scola, che i romani "tra un laziale e un negro, preferiscono il negro". Al gioco si prestano in tanti, dalla gente comune a numerosi attori simbolo della romanità. Manca Alberto Sordi, che è scomparso pochi mesi prima delle riprese, e manca Gigi Proietti. Ma in compenso ci sono Valerio Mastandrea, Antonello Fassari, Stefania Sandrelli nei panni di se stessa, e poi ancora due perle. La prima di Fiorenzo Fiorentini, che sull'autobus risponde per le rime a un maleducato, citando una poesia del Belli. La seconda di Arnoldo Foà, commovente nei panni di un vecchio che si oppone alla volontà del figlio di rinchiuderlo in un ospizio.