Ancora un anno fa la crisi europea dei rifugiati si lasciava associare a una sola  parola: Lampedusa. Un anno dopo la crisi ha moltiplicato le vittime e i luoghi del dolore ed è arrivata nel cuore dell’Europa. Anche per questo, per non dimenticare Lampedusa,  i volti senza nome dei disperati, ma anche  dei tanti eroi italiani impegnati in prima fila, ogni giorno, ancora oggi, a Lampedusa, Gianfranco Rosi porta in concorso a Berlino Fuocoammare.

Il documentario e film di Rosi è uno studio silenzioso sulla vita dei suoi abitanti, una vita semplice, ormai indissolubilmente legata al destino di centinaia di migliaia di migranti che qui, da anni, approdano appena in  vita. Ma cosa significa quaotidianità a Lampedusa? Rosi crea un contrasto di grande effetto tra il documentario incentrato sui migranti, le forze di soccosrso, la tragedia quotidiana, frammaneti di volti e destini, e la registrazione piana della piccola vita del  bambino Samuele, (irresistibile e bravo Samuele Pucillo) sull’isola. La sua isola. I piccoli gesti familiari di ogni giorno, le corse sugli scogli, la nonna amorevole, le vite dei pescatori al porto, il mare tutt’intorno. Due mondi, certo, di cui uno in permanente stato di emergenza. E l’altro, legato all’illusione di una sicurezza arcaica, nelle cose di ogni giorno.

Rosi, che ha già portato a casa un Leone D’Oro a Venezia col  suo altro documentario Sacro GRA nel 2013, afferra ancora una volta il mezzo espressivo che sa muovere  con maestria e che porta a momenti di poesia:  il racconto filmico senza commento, né prima persona. Solo così gli riesce l’assemblaggio di immagini che alla fine fanno dei suoi lavori un racconto unitario. Fuocoammare non è un documentario perfetto, né un film perfetto. Ma realtà e racconto nei suoi film sono così vicini da  confondersi. È questa la qualità principale di Rosi. È così che i suoi film fanno affiorare sulla superficie della realtà le contraddizioni atroci di questi giorni, dietro l’angolo di casa nostra.

È possibile che vinca l’Orso d’Oro Fuocoammare. La nuova Lampedusa, d’altra parte, è la Germania. E Meryl Streep, la prima ad alzarsi ed applaudire, deve averlo capito benissimo. Ma, Orso d’Oro a parte, la breve intervista al medico nel mezzo del film che commenta, la voce che gli affonda in gola, quello che ha visto e fatto in questi anni in prima fila a Lampedusa, è un momento da consegnare alla storia, anche del cinema.