L’invasione francese continua. La cinematografia più florida d’Europa, generosa di commedie, ha nel polar (mélange fra polizie e noir) un altro dei suoi piatti forti.

Marsiglia, 1975. Ispirato alla vera storia del giudice Pierre Michel, qui interpretato da Jean Dujardin (The Artist), questa nuova French Connection porta in scena il logorante confronto tra il giovane e ostinato magistrato e Gaetan Zampa, padrino della malavita marsigliese e signore del narcotraffico tra Europa e Stati Uniti. Il fascino della pellicola, che pure si avvale di una complessa ma solida sceneggiatura, cui ha collaborato lo stesso regista Cédric Jimenez, risiede tuttavia nel carisma dei due protagonisti in stato di grazia: Michel (Dujardin) e Zampa (Gilles Lellouche, già visto in coppia col primo in Les Infidèles), scolpiscono due figure antitetiche che si combattono senza esclusione di colpi ma congiunte da un legame di ossessione-attrazione, nonostante siano schierate su posizioni opposte.

Il film, sostenuto da un buon ritmo che riesce a sostenere la fluviale durata, oltre le due ore, si avvale anche di una perfetta ricostruzione d’epoca (i 21 milioni di euro di budget non son stati spesi invano...), complici una fotografia vintage che ritrae una Marsiglia accecata dalla luce mediterranea e una colonna sonora azzeccata e mai invadente.

Le fonti di ispirazione, infine, sono tante, ma Jimenez ha abbastanza senno da non scadere nel citazionismo e nel perseguire una sua idea di messa in scena adeguata solo e soltanto alla storia che ha scelto di narrare: i richiami all’omonimo cult di William Friedkin, agli Intoccabili e a Scarface di De Palma e persino ai poliziotteschi del nostro Enzo Castellari possono suggerire allo spettatore nient’altro che atmosfere e vaghi rimandi di carattere narrativo, segno che la lezione del passato è stata assimilata alla perfezione.

La Francia mette così a segno un altro centro, mostrando sino a che punto la sua macchina produttiva a pieno regime sia riuscita a fagocitare il modus operandi e le scelte del cinema italiano degli anni settanta, epoca in cui lo Stivale, almeno in Europa, non aveva pressoché rivali nel cinema di genere. Che dire, chapeau!