Los Angeles, giorni nostri. Gli scienziati Marie (Moss) e Viktor Frankenstein (Danny Huston) creano clandestinamente un essere umano, già adulto (Samuel). All’inizio sono rose e fiori: il ragazzo impara a mangiare e camminare, e comunica con gli abbracci - soprattutto con Marie, la più empatica del duo. Quando i Frankenstein devono sopprimerlo per irrecuperabili imperfezioni il giovane, inaspettatamente invulnerabile e dotato di una forza incredibile, fugge e raggiunge la città, seminando morte e terrore.

Bernard Rose, anche sceneggiatore, propone un adattamento audace, contemporaneo, libero e sanguinosissimo del romanzo di Mary Shelley, tutto visto con l’inedita prospettiva del protagonista.

È un horror ambizioso, che mira – riuscendoci a metà - al trattato filosofico sulla cattiveria umana: la creatura impara imitando, ma psicologicamente è fragile come un bimbo di cristallo che subisce un’educazione violenta. Le conseguenze sono devastanti: il mostro è capace soltanto di infliggere dolore al prossimo, talvolta con consapevolezza, più spesso no.

Tragicamente, nessuno ne uscirà migliore, e neppure cambiato. Non c’è posto per la redenzione, ma soltanto per tanta violenza senza scopo.