Kathryn Bigelow e James Cameron, dieci anni fa, con il loro Strange Days ipotizzavano che sarebbe stato possibile - a cavallo del nuovo millennio - vivere esperienze altrui grazie ad alcuni vettori di memoria artificiale, gli "squid", atti a riprodurre particolari momenti di una vita. Oggi, con The Final Cut, l'esordiente libanese Omar Naim (classe 1977) propone, quale succedaneo al classico funerale, il rito del "Rememory": visione collettiva della sintesi esistenziale del caro estinto, attraverso le esperienze direttamente vissute dagli occhi del defunto. E' necessario, affinché tutto funzioni, aver installato un microchip della Zoe Tech al momento della nascita e, soprattutto, che qualcuno si prodighi al montaggio dei frammenti salienti della vita appena trascorsa. Alan Hackman (Robin Williams) è il miglior montatore su piazza, profondamente incline a sottrarsi dalla realtà circostante - trascurando il bisogno di attenzioni della triste Delila (Mira Sorvino) - per confezionare riassunti della memoria altrui. Divoratore di peccati, assolutore per eccellenza delle infamie che scorrono sotto il suo sguardo, Alan sarà ingaggiato per il Rememory di un pezzo grosso della Zoe Tech: deontologia professionale e redenzione personale (una comparsa lo riporterà ad un doloroso episodio della sua infanzia) si scontreranno, mentre un ex collega (Jim Caviezel), ora convinto attivista nella battaglia contro la Zoe Tech, farà di tutto per impossessarsi del chip. Le premesse, non c'è che dire, lasciavano ben sperare: l'atmosfera suggestivamente fotografata da Tak Fujimoto (già collaboratore, tanto per dirne uno, di Terrence Malick ne La rabbia giovane) per un presente (?) da contrapporre alle immagini filtrate dal videotape della memoria, la possibilità di regalare ai posteri un compendio ovattato e insincero dei propri cari, il magone del protagonista per un dramma mai metabolizzato si dissolvono senza particolari guizzi. Privilegiando in corso d'opera la virata verso un ben più "rassicurante" impianto thrilling, il tutto viene risolto - e ci riferiamo in particolar modo alle inquietudini di natura bioetica - in maniera sin troppo sbrigativa e superficiale, ancorando qualsivoglia giudizio di merito ai blocchi di partenza.