Recessione, paura della violenza, panni sporchi, mani pulite, abusi pubblici e pubblici abusati (sì, anche il cinema ha le sue colpe): ultimamente in Italia c'è poco da stare allegri, ma fortuna che qualcuno ha ancora voglia di - e far - sorridere, Fausto Brizzi. Dopo il dittico felice di Notte prima degli esami (oltre 25 milioni d'incasso al botteghino), il regista romano abbandona il giovanilismo degli esordi per abbracciare con Ex tutte le generazioni. Restyling di facciata. Non bastano rughe e calvizie (Claudio Bisio e Gian Marco Tognazzi col "parrucchino") per parlare di salto anagrafico, né una confezione più ricca per sfoggiare attestati di maturità. E se stavolta lo script - sei vicende intrecciate, ideate dallo stesso regista con Marco Martani e Massimiliano Bruno - prevede crisi di coppia, attrazioni fatali, lutti e bambini in affido, l'approccio di Brizzi resta quello di un astuto Peter Pan in perfetto equilibrio tra faciloneria e disimpegno, ingenuità (calcolata) e romanticismo. Vietato scavare più a fondo, scomodare radici fasulle (la commedia all'italiana), e sociologie d'accatto (sempre in agguato quando si parla di famiglie al collasso). Ex non è - nè pretende di essere - un fenomeno di costume, e qui sta la sua forza. In questa sfacciata leggerezza che rende ogni cosa lieve e possibile, nella sua carineria da commedia alla Hugh Grant, nella citazione mai esibita - da La guerra dei Roses a Sliding Doors, passando per Uccelli di rovo -, e nell'accondiscendere al pubblico senza essere volgare. Al perfetto collaudo della sceneggiatura - piena di ritmo e con qualche battuta al vetriolo, come quel "sembrano i figli di Nanni Moretti" urlata da Vincenzo Salemme al giudice isterico Silvio Orlando - risponde l'ottimo assortimento del cast: interpreti a loro agio e un Bisio sorprendente nell'unico ruolo veramente a rischio del film, quello di un inguaribile dongiovanni che si riscopre padre dopo la perdita della moglie. Il resto - immagini patinate, colonna sonora ruffiana e product placement - è il nuovo manuale d'identità del giovane (e baciato dal successo) cinema italiano. Se non fosse marketing, sarebbe un marchio d'autore.