Irene Ravelli (Barbora Bobulova) è una giovane e spregiudicata imprenditrice immobiliare che, sotto la guida della spietata zia Irene (Lisa Gastoni), ha accresciuto il patrimonio paterno. Impegnata in una speculazione edilizia sull'antica dimora familiare, Irene entra in relazione col fantasma rimosso della madre e con Benny, una bambina responsabile di piccoli furti e grandi slanci di generosità. Il cortocircuito tra questi stimoli porta Irene a una profonda crisi d'identità, dove le logiche esistenziali dell'impresa lasciano posto alla dimensione della solidarietà, sospesa tra la follia e l'altruismo. Ferzan Ozpetek parte da eventi biografici (la scomparsa di persone care) per interrogarsi sul destino dell'uomo dopo la morte: "Quale è il senso della vita? Dove va chi muore? Queste domande - afferma il regista - hanno reso urgente la realizzazione di Cuore sacro, il mio film più difficile." In effetti, il film, sebbene non possa dirsi risolto, è coraggioso. Muovendo dalla stessa tematica già esplorata da Roberto Rossellini in Europa '51, il regista italo-turco mette in scena la parabola tracciata da Irene: dalla ferrea logica d'impresa all'apertura incondizionata all'altro nei canali dell'assistenza ai diseredati e ai marginali. Un percorso che ha molte analogie con quello di S.Francesco: l'exemplum del santo che parlava agli animali affiora nell'empatia che Irene sperimenta con la natura e nel suo pubblico denudarsi alla stazione. Ma Ozpetek non si rifà direttamente all'esperienza cristiana: la sua ottica si nutre di sincretismo e di una religiosità di matrice laica. Il film, tuttavia, non è adeguatamente sostenuto dall'architettura stilistica: il regista nato a Istanbul accusa evidenti debolezze nella direzione degli attori e una sceneggiatura incline al didascalismo, a cui cerca invano di rimediare con una regia enfatica. Allo spettatore resta comunque la possibilità di scorgere il secondo cuore che ognuno di noi custodisce nel petto: quello sacro.