Michael Haneke ama mettere in dubbio le certezze del pubblico, facendogli scoprire l'angoscia dell'uomo comune di fronte a un mondo che pensa di controllare in virtù della ragione e della Storia. Non fa eccezione Caché, che racconta la progressiva disgregazione della sicurezza di un intellettuale nel momento in cui il passato si riaffaccia alla sua vita sotto forma di missive anonime. Il film si apre con un'inquadratura che potrebbe essere la sintesi stessa del film: il piano fisso di una strada e di una casa che, subito dopo i titoli di testa, si rivelerà un'immagine elettronica. L'idea è quella della telecamera di sorveglianza, questa volta rivolta contro chi crede di controllare. Ma anche quella di un rapporto con il fuori campo di tipo fantasmatico, come se ciò che circonda l'inquadratura non fosse tanto la presenza di un reale di cui si avverte l'esistenza tramite il suono e la luce, quanto l'incalzare minaccioso e urgente di un rimosso, individuale e sociale. In questo caso, il rimosso è l'egoismo avido di chi non vuole condividere e mette l'altro ai margini e più specificamente il rapporto degli intellettuali francesi con il Sud del mondo. Qui la dimensione privata e quella pubblica coincidono: il protagonista ha dimenticato il grave torto fatto, da bambino, a un suo coetaneo figlio di immigrati così come la società francese cerca di cancellare nell'oblio i suoi torti verso gli algerini. Tutto il film è li, a mostrare il fallimento di un sistema di valori, teso a controllare e punire. Come ben mostra l'immagine finale, ancora un piano fisso sull'entrata di un liceo, dove si incontrano i figli dei due uomini che si sono affrontati: un'inquadratura la cui distanza non ci permette di cogliere il senso preciso dell'evento e ci lascia con le nostre domande. Erano loro gli artefici del complotto? Le nuove generazioni sono diverse dalle vecchie? La persecuzione continuerà, sotto altra forma? Haneke non da risposte. In quell'immagine neutra e distante ciascuno ci legge ciò che vuole: una speranza o una paura. Poi lo spettatore esce dal cinema e rimane solo, con la sua coscienza.