Il documentario del regista e autore di teatro Andres Veiel, Beuys, presentato in concorso alla Berlinale, è un omaggio all’artista tedesco Joseph Beuys. Ci svela l’ironia dell’icona Joseph B., sciamano e scultore, artista impegnato e mito: Joseph Beuys è stato e resta, accanto al premio Nobel Günter Grass, il più celebre artista tedesco della seconda metà del XX secolo.

Tra i tanti momenti che sorprendono c’è forse l’osservazione di un celebre giornalista americano: all’inizio degli anni ottanta Beuys era l’artista più quotato al mondo nell’arena del mercato dell’arte contemporanea – più di Andy Warhol e Robert Rauschenberg. Il documentario certo ci fa riscoprire, almeno a chi l’arte contemporanea non la mastica ogni giorno, una figura fondamentale.

Eppure, quel che resta di bello e di buono di questo lavoro è la qualità assoluta del materiale, tanto, di archivio montato da Veiel. Materiale originale, ritenuto perduto, interviste, riprese occasionali insieme alle opere, negli studi, alle mostre internazionali, fuori ripresa nei musei più prestigiosi al mondo. L’icona allora emerge completa: Beuys ecologista, Beuys intellettuale, Beuys politicamente impegnato, demistificatore. Intensa e centrale è la sequenza presa da una discussione su un podio dove il sociologo e filosofo tedesco Arnold Gehlen, un’istanza nella Germania occidentale del dopoguerra, degrada le istallazioni di Beuys in partenza per Parigi come "feccia ciarlatana". In particolare, osserva il filosofo, è insopportabile quella con il passeggino tagliato a pezzi. Beuys risponde al risentimento con un sorriso affabile: "Se vuole farci qualcosa di meglio con un passeggino, le ricompongo il mio e glielo do'. Purché dentro non ci sia un bambino. Quello no, nelle sue mani non deve finirci". Una settimana dopo quella discussione sull’arte, si scoprono gli atti riguardanti il passato da SS di Gehlen.

L’umanità di Beuys (ogni uomo è un artista) è forse la cosa più importante che questo documentario consegna alla memoria. Andres Veiel, uno dei più importanti documentaristi tedeschi ed europei, ha composto il suo Beuys con radicale decisione. Rinuncia a mostrare le opere celebri, quelle più forti e politiche, come Zeige deine wunde o Tram Stop, in digitale. E questo è un bene. Il materiale in bianco e nero ci porta in un viaggio nel tempo: non solo nell’arte del XX secolo, ma in un’Europa oggi più lontana di sempre.