La Berlino che fu, quella Romantica per davvero. E una esibita ispirazione, non solo storica, ma di mood, di poetica: Heinrich von Kleist, il celebre poeta tedesco morto suicida nel 1811. A “riesumarlo” l'austriaca Jessica Hausner, che dopo Lourdes continua a indagare il miracolo nella sua accezione più denotativa e definitiva, ovvero l'accadimento straordinario.
Heinrich (Christian Friedel) non vive bene, vuole prendere congedo, ma non da solo. Chiede alla cugina Marie se lo ama, soprattutto, se lo vuole raggiungere nell'estremo gesto: prima un colpo di pistola a lei, poi lui farà lo stesso. Toh, che strano: la cuginetta fa professione di scetticismo. Ma Heinrich non demorde, non recede dal fatal proposito, e  si guarda attorno: incappa in Henriette (Birte Schnoink), e l'assonanza dei nomi forse è anche del destino. Henriette ha una figlia ed è sposata a un uomo d'affari, che considera il suo padrone: spirito dei tempi, ma la brace cova. Quando le viene diagnosticato – forse sì, forse no – un tumore allo stadio terminale, i ruoli si invertono, e…Film di suonate al piano, canti d'accompagno, ozio aristocratico-borghesi, scanditi dalle nuove tasse per tutti: la Hausner coglie quel che lo scorrere del tempo non cancella, esazione fiscale compresa. Soprattutto, accende l'ironia per illuminare l'inaudita richiesta di Heinrich: no future, nel romanticismo echeggia il punk ante litteram. Ma le immagini non ballano né “pogano”, la forma è piana, tableaux vivants percorsi da istinti suicidi a scalfire la noia borghese, il nonsense di un mondo ovattato, atono e musicale per assurdo: solo i cani si muovono, solo l'amour fou può fare altrettanto. Il rischio che la palpebra cali – soprattutto con i ritmi di un festival – c'è, ma la Hausner canta la morte come la vita: it happens. Miracolo?